Igor Bararon, ebreo di Sarajevo, da due anni in Italia, studia a Bologna. Fa parte del gruppo musicale Vladach, che fa musica Jiddish.

A Sarajevo non tornerò più. Purtroppo nessuno vorrà capire i tuoi motivi personali, ti considerano un traditore che li ha lasciati nei guai. Ero qui a studiare due anni fa quando ha iniziato la Slovenia e mia madre mi ha detto "non tornare". Ma quelli che sono rimasti non lo capiranno. Sei mesi fa sono stato a Belgrado per tirare fuori una famiglia che era nei guai e doveva venire in Italia. Avendo un reddito, potevo garantire per loro. Appena a Belgrado telefono a Sarajevo a un mio carissimo amico che è mussulmano. Risponde la madre, "signora sono Igor, posso parlare con Amir?". Lei: "sei tu? no, non puoi parlare con lui perché tu ci hai lasciati qui, la vera amicizia è sul campo di battaglia"... Mi è sembrata una matta. Ho dovuto buttar giù.
Ma sai chi combatte lì? Prima pensavo fossero dei mercenari, della gente che lo faceva per soldi. Adesso ho capito che sono dei poveracci come me e come te che sono rimasti lì, che non si sono salvati in tempo, qualcuno gli ha messo un fucile in mano e gli ha detto: "guarda, quello lì adesso ti spara, sparagli prima tu". Molti miei amici che non avevano nessun motivo per fare quella guerra ora la fanno, è assurdo, ma in quella situazione ora la devono fare. Un mio amico serbo fa parte dell’Armata territoriale bosniaca, combatte a fianco dei mussulmani. A Belgrado sono andato a trovare i suoi che mi hanno fatto leggere una sua lettera miracolosamente arrivata da Sarajevo. Dice "io qui devo combattere, non me ne frega da che parte sto, serbi o mussulmani è lo stesso, non c’è nessuna differenza". E poi racconta un episodio che è successo proprio nel palazzo che si vede in una foto del vostro ultimo numero. La zona attorno a quel palazzo, oggi controllata dai mussulmani era la nostra zona, io abitavo lì vicino, ci conoscevamo tutti fin da bambini, da ragazzi facevamo comitiva insieme. Quando è scoppiata la guerra una parte dei ragazzi, quelli serbi, ha attraversato il fiume e ora occupa un palazzo enorme, di questi tirati su dai comunisti. I due palazzi si guardano, in uno ci sono i ragazzi mussulmani del mio quartiere, nell’altro i serbi. Bene, si telefonano con le ricetrasmittenti per avvisarsi prima degli attacchi, si chiamano per nome. "Toglietevi di mezzo, perché stiamo cominciando l’attacco". E non è che non vogliano vincere la guerra ma non vogliono che muoia l’amico di un tempo.
Succedono cose assurde in quella città. Ma la gente miracolosamente convive con questa assurdità. Mi chiedo per esempio quante persone stiano facendo questa guerra. In Bosnia vivevano 4.800.000 cittadini, ora ne manca la metà, sono andati via come ho fatto io. A Sarajevo mancano 300000 cittadini, erano 600.000. Alla fine chi fa quella guerra saranno 120.000 persone. Sono pochi che fanno del male a tutti. Ad assediare Sarajevo saranno poche migliaia di soldati, che però hanno posizioni così buone da dominare tutta la città e tenerla sotto tiro. Pochi profittatori di guerra. Per esempio: mio padre mi racconta che un mio vicino di casa che era un piccolo criminale -in ogni comitiva ce n’è uno un po’ così, un po’ stronzo- adesso gira con la scorta di ragazzi armati, ha combattuto contro i croati e contro i serbi, ora è un capo dell’esercito. E casomai io e un altro mio amico che ci siamo trovati all’estero a studiare e che un domani forse potremmo tornare e contribuire con qualcosa che abbiamo imparato, siamo dei traditori...
Ma anche tanti di quelli che fanno la guerra... Radio Sarajevo ha intervistato quattro cetnici che erano stati arrestati. E alla domanda "perché mai avessero ucciso tanta gente", loro hanno detto: "noi eravamo poveri contadini che abbiamo vissuto sempre fra cavalli e mucche. E’ venuto uno che parlava molto bene e ci ha detto che di lì a poco i mussulmani sarebbero venuti a massacrarci. Vi dovete difendere. Voi siete serbi, avete sempre pagato per gli altri... E noi ci siamo difesi..."
Tutto è iniziato senza pensarci più di tanto, da stupidi in un certo senso. Sempre a Radio Sarajevo ho ascoltato un programma intitolato "per chi la guerra è nemica e per chi è amica" e ha telefonato una signora: "pronto, signora, ci dica tutto, si sfoghi", "io abito in via tal dei tali e la guerra è vera guerra per noi, dei numeri 2, 4, 6, 8, 10. E’ amica invece per quelli dei numeri 1, 3, 5, 7, perché loro hanno amici nell’ente dell’elettri ...[continua]

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