Volevamo parlare un po’ con voi della situazione internazionale dopo l’11 settembre, quando in Afghanistan la guerra volge a favore degli americani, in Palestina va malissimo, dall’amministrazione americana arrivano segnali diversi...
Vittorio Foa. Dopo l’11 settembre abbiamo preso coscienza in modo quasi istantaneo, di quanto vasta sia l’area del malcontento, di quanto forte l’insofferenza di larghissimi strati di popolazione del pianeta nei confronti non solo degli Stati Uniti, ma della parte agiata, ricca del mondo; un mio amico ha incontrato un frate francescano brasiliano che gli diceva della sua sorpresa per la reazione della gente più miserabile, quella delle parti più povere del Brasile, della periferia di San Paolo o del Nordest, all’attentato e alla strage di New York: hanno battuto le mani.
E’ gente che dai terroristi non ha niente da attendersi, e che, però, in quell’atto ha visto come una provvidenziale punizione dei forti, dei ricchi, dei potenti; è stato come se questa gente avvertisse che un po’ di giustizia si era realizzata.
Ora, questo fatto colpisce e vien da chiedersi: da parte di noi ricchi, agiati, quali sono le prospettive di fronte all’estensione del malcontento? Non lo so.
La mia paura, voglio dirlo molto chiaramente, non è quella che noi perdiamo, e vincano loro, che vinca il malcontento, non vedo come potrebbe succedere; vinciamo noi, i ricchi, cioè, abbiamo la potenza, i mezzi tecnologici e l’esperienza necessaria per vincere, ma la mia paura è che vinciamo diventando molto cattivi. Un po’ lo stiamo già diventando. E’ già in atto un processo di deterioramento della difesa dei diritti personali negli Stati Uniti. Il sentimento di giusta protesta contro il terrorismo ha anche creato un bisogno di operatività che lede molti diritti.
Poi ci sono degli spiragli, certo. Vediamo che proprio dopo l’11 settembre alcune cose si sono mosse: gli americani sono disposti a mettere in discussione le emissioni di anidride carbonica e a fare ulteriori concessioni sui brevetti farmaceutici; altri paesi, come l’Europa, sono disposti ad affrontare il problema dei sussidi all’agricoltura; insomma, qualche cosa si muove, però è comunque probabile che il malcontento vada più rapidamente delle misure riformatrici. L’altro giorno Carlo Ginzburg mi citava “la tartaruga con Achille”: noi facciamo le riforme, ma loro sono già andati oltre. Ecco, questo senso d’impotenza nella soluzione dei problemi è molto diffuso, anche se, lo ripeto, avvertiamo che qualcosa si è mosso dopo la strage di New York. Ma la dimensione dei problemi è diventata così globale che sembra che non si possa pensare a nulla senza risolvere tutto.
Negli Stati Uniti tutto sommato non c’è stata una reazione “revanscista”; tanti americani sono rimasti colpiti e si sono chiesti: “Ma ci odiano davvero tanto?”
Foa. Sì, c’è una presa di coscienza crescente. Ci sono stati dei fenomeni anche abbastanza sorprendenti; per esempio, la rapidità con cui gli americani hanno cambiato alcune linee di pensiero consolidate: alla Federal Reserve dove fondavano tutto il loro pensiero sul controllo dei prezzi, di colpo, diventano neokeynesiani; Bush, che appena eletto presidente era animato da odio anticinese e antirusso, ora di colpo stringe, almeno con la Russia, una grande alleanza.
Certo, c’è stata l’influenza britannica, ma non è solo quello, c’è anche l’influenza dei fatti. Questo senza nulla togliere all’importanza che ci sia gente capace di vedere il nuovo; per esempio è per me un aspetto addirittura sconvolgente che la linea positiva, nell’amministrazione americana, sia rappresentata da Colin Powell (cioè dal Segretario di Stato, capo della diplomazia della più grande potenza del mondo), un uomo dell’estrema minoranza, cioè un nero. Questo ti fa pensare al ruolo che può avere la minoranza in una grande potenza. Colin Powell ha avuto un ruolo di enorme rilievo nel capovolgere la politica americana.
Pietro Marcenaro. All’inizio, dopo l’11 settembre, si è avuta la forte impressione di un cambiamento delle coordinate della politica americana, ad esempio la prudenza con la quale inizialmente si è mossa, il tentativo di ...[continua]
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