Si rimprovera talvolta a queste pagine di volgersi all’assoluto invece che al contingente, di dare più spazio alle problematiche etico-religiose che alla denuncia delle piccole meschinità commesse talvolta proprio in nome di quegli stessi assoluti che qui si discutono. L’Esistenza, scritta con la E maiuscola per sottolineare ironicamente l’astrattezza dell’espressione, sarebbe anteposta insomma alla vita quotidiana (in corsivo, come si conviene a ciò che veramente vale). Ciò che si sospetta è l’evasione, l’esodo, l’espiazione, infine, di un antico quanto imprecisato senso di colpa. E’ un sospetto sintomatico. Esso rivela infatti come anche i più sinceri compagni di strada siano talvolta prigionieri di un pregiudizio caratteristico dell’epoca della tecnica. L’Esistenza con i suoi problemi ultimi dovrebbe godere, si dice, di uno spazio meno esclusivo, più rispettoso delle altre esigenze che sarebbero, così si pensa, più concrete. Il pregiudizio consiste appunto nel considerare l’Esistenza un problema a parte o, per così dire, “a monte”, appannaggio di una disciplina particolare (la filosofia? Le scienze umane?), competenza specifica di un ristretto e, soprattutto, autorizzato gruppo di tecnici. Dopotutto, nelle riviste a grande tiratura -quelle che danno l’”esempio editoriale”- ricerca religiosa o riflessione etica non occupano forse lo spazio misurato di una rubrica? E le riviste specialistiche, quelle che nessuno legge ma la cui autorità è indiscutibile, non sono forse del tutto indifferenti alle urgenze del mondo circostante? Ogni sconfinamento deve essere evitato: l’assoluto ai filosofi, i problemi di coscienza alla morale individuale, la verità oggettiva ai laboratori degli scienziati, la città agli esperti dei problemi locali e ai professionisti della denuncia (i giornalisti?). Trasgredire questi limiti vuol dire esporsi al ridicolo. Tutti però convengono nel definire “epocale” la crisi che viviamo. Ma questo che altro significa se non che ad essere irrimediabilmente scosse sono le fondamenta stessa della nostra vita? Le risposte possono allora consistere in semplici aggiustamenti dell’esistente, in una nuova sistemazione di concetti invecchiati? Se è la cornice a non tenere, occorre allora andare in profondità, “rifare tutto” cercando, come scriveva Marx, di essere “radicali”. Altrimenti, come di fatto accade con leghismi, “trasversalismi” ed ecologismi da amico degli animali, si rischia soltanto di contribuire involontariamente con il proprio chiasso e con i propri stucchevoli sdegni morali allo sfascio e al fascismo prossimo e venturo (bisogna riconoscere che “sfascismo” è un’espressione che coglie nel segno). Illudersi di rispondere ad una crisi che viene da lontano con rassicuranti chiacchierate sul “ritorno del cittadino” e sull’estensione della democrazia reale vuol dire evadere effettivamente quelle responsabilità che in linea teorica (ed elettorale) si dice invece di voler assumere. Seguendo la strada dei piccoli aggiustamenti, differendo costantemente il faccia a faccia con le questioni ultime, ci si troverà ben presto in un vicolo cieco. Lo dimostra, tra l’altro, la paradossale situazione algerina. Là infatti democrazia e stato di diritto si sono difesi dal cosiddetto “fanatismo” religioso con il colpo di stato e la violazione flagrante del diritto, rivelando così tutta l’impotenza e la contraddittorietà della pratica democratica. A chi ritiene che volgere lo sguardo all’Esistenza sia una fuga dalla realtà, si deve dunque obiettare che, se la crisi è epocale, essa obbliga gli uomini di buona volontà a spogliarsi dei propri ovvi saperi per esporsi nudi ad un confronto radicale con l’essere - l’essere dell’altro, ad esempio, la sua differenza, la violenza strutturale che questo rapporto implica.
Che si parli dunque di Dio, della morte, della malattia, delle situazioni-limite della vita, che si rifletta sull’esperienza poetica, che si demoliscano i pregiudizi dello scientismo e dell’utilitarismo, se si vuole effettivamente tornare a fare politica in modo concreto. Perché l’azione politica, anche quella più quotidiana, ha bisogno di essere illuminata da una domanda sul senso.
Altre strade non sono date, bisogna dirlo con franchezza, a meno che non si creda veramente alle insulsaggini di un Popper o alle ricettine liberaldemocratiche oggi in voga presso una intellettualità stanca di cercare. La misura dell’autenticità di questa esperienza non sarà data dai suoi contenuti, ma dal rigor
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