La mappa dell’apartheid
Quello che penso è che Israele stia cercando di imporre l’apartheid in Palestina, dove abbiamo oggi un apartheid di fatto. Si può definire l’apartheid come un sistema, un regime; non è semplicemente una via politica per raggiungere un obiettivo. Ci può essere discriminazione, anche in Italia, senza che vi sia apartheid.
L’apartheid è un regime con due elementi principali, uno è la separazione di una popolazione dall’altra, ed è questo il modo in cui Israele chiama la sua politica verso i palestinesi: separazione, in ebraico “afradà”. Perfino il nome ufficiale del muro non è “muro per la sicurezza”, ma “muro di separazione”. L’altro elemento è il dominio di una popolazione sull’altra.
Sono sessant’anni che Israele prova a creare uno spazio esclusivamente ebraico, praticamente dal 1947 quando le Nazioni Unite hanno assegnato allo stato ebraico il 56% della Palestina. Ilan Pappe, un noto storico israeliano, ha scritto un libro recentemente che si intitola La pulizia etnica della Palestina (The Ethnic Cleansing of Palestine, 2006, Ndr) e in questo libro mostra che lo scopo del governo israeliano fin dal 1947-48 è stato fare una pulizia etnica in tutto il territorio che sarebbe diventato uno stato ebraico.
Nel 1947 gli ebrei hanno avuto il 56% del territorio, pur essendo solo un terzo della popolazione. Anche con tutto questo, con questa divisione, il 45% degli abitanti dello stato ebraico era palestinese. Per aver anche solo questa parte del territorio come stato ebraico sarebbe stato necessario effettuare una pulizia etnica. Ma Israele voleva espandersi oltre questo spazio, ed effettivamente nel 1948 alla fine della guerra, si era allargato al 78% del Paese. Nel frattempo erano stati espulsi dal paese più di 700.000 palestinesi, sia dal territorio assegnato dalle Nazioni Unite sia da quello che sarebbe stato lo stato ebraico nel 1947-48.
Questa situazione era alla base dell’iniziativa politica della comunità internazionale ai tempi della “road map”. Questa è stata la soluzione accettata dai palestinesi dell’Olp, nel 1988, quando riconobbero Israele in questi confini, rinunciando al 78% del paese. Se Israele avesse davvero cercato pace e sicurezza, si sarebbero potuti avere vent’anni fa e invece ci siamo diretti verso quello che chiamiamo un “bantustan” in Palestina, in cui Israele si espanderà fino all’85% del paese, creando uno spazio quanto più possibile esclusivamente ebraico. Perché in realtà non lo vogliamo uno stato palestinese nella nostra terra, la terra di Israele. Ma come capitava in Sudafrica, se non vuoi uno stato bi-nazionale, devi far sì che nasca uno stato palestinese: la logica dei bantustan non è di riconoscere ai palestinesi i loro diritti ma di separarsi da loro, lasciando noi stessi in grado di controllare tutto il paese. Non solo lo controlliamo, lo dominiamo anche. Israele controlla i confini del territorio, rinchiude i palestinesi in quelli che chiamiamo cantoni. Controlla la terra agricola più fertile e l’acqua, controlla l’area della grande Gerusalemme, il cuore economico di qualunque stato palestinese. Controlla anche lo spazio aereo e la sfera delle comunicazioni.
E così vediamo emergere un regime di apartheid, non uso la parola come slogan ma in modo molto preciso. Perché l’apartheid, come dicevo, è un regime imposto su tutto il paese, basato sulla separazione delle popolazioni, con una delle due popolazioni che domina in modo permanente sull’altra. E’ in questa direzione che Israele sta andando, è molto chiaro. E si può comprendere come tutto questo sia stato pianificato negli ultimi 40 anni, basta guardare una cartina geografica. Se qualcuno sapesse dirmi come uno stato palestinese economicamente autosufficiente potrebbe emergere da una situazione come quella attuale dei Territori, meriterebbe il prem ...[continua]
Esegui il login per visualizzare il testo completo.
Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!