Fatta astrazione di tutte le minuzie della storia economica e delle “situazioni” strategiche, ecc. (che rendono sempre incomparabili due epoche) una certa “misura comune” mi è sembrata possibile anche per l’estensione dei confronti a diversi altri grossi momenti della storia europea (l’Olanda nel 1586 e la Boemia nel 1620, la Francia nel 1615 e l’Inghilterra nel 1642, l’ascensione prodigiosa che comincia nel XI sec. e la impressionante decadenza sociale che s’afferma nella seconda metà del XIII, ecc., ecc.). Perché un movimento nel quale si congiungono lo slancio di masse con il fervore di “pensiero critico” raggiunga un risultato positivo cioè un grande acceleramento nella liberazione della vita sociale, da forme ed istituti che la strozzavano, e nello spostamento dei ceti governanti la società occorrono: a) un linguaggio comune fra l’“uomo nella strada” ed il “rappresentante dell’avanguardia intellettuale”; b) un movimento, in cui la “dottrina rinnovatrice” sia nel suo grado di piena efficienza: cioè corrisponda al massimo di “coltura” possibile in quella data epoca e perciò sia completamente “presa per vera”, senza scetticismo o sforzo di senile cocciutaggine dogmatica, dai migliori, dai piu dinamici, giovani spiriti dell’epoca. La rivoluzione del 1789 proclamava ed attuava quel che i più forti spiriti dell’epoca affermavano, coincideva con la suprema ragione (Kant) e con il primo romanticismo (Rousseau ed anche il giovane Schlegel, ecc.) - allo stesso tempo il suo “razionalismo” e “sentimentalismo” (amore dell’umanità, uguaglianza degli uomini, “natura” contro ogni tradizione) erano penetrati in larghissimi strati fino al popolo. Nel 1848 le “idee-forza” del movimento erano già appassite, istecchite, avevano avuto il loro momento di splendore attorno al 1830; il romanticismo era già logoro, semi screditato, Mazzini era già irrigidito nel dogma, Lamartine “posava” con un miscuglio di concetti imprecisi nel cervello; fra i “begriffi” hegeliani, le intricate contrazioni d’un democratismo nazionalista (come quello dei “germanisti” prevalenti a Francoforte) e la mentalità delle masse non v’era affiatamento; mentre un grandissimo intelletto come Condorcet - era pienamente nella “linea del 1789”, tanto Proudhon che Marx si trovavano “in margine” al 1848 - lo criticarono acerbamente non trovando nulla a che collaborare con sincero entusiasmo; la vera scienza, la vera arte erano già al di là dello “spirito quarantottesco” (mentre nel 1789 un Schiller o un David erano tanto consoni all’epoca). Non dico che questo “passatismo” dei capi del moto rivoluzionario sia stato “la causa dell’insuccesso”, ma sostengo che ciò era il sintomo “inequivocabile”, che v’era poca speranza di vedere il movimento giungere a conquiste veramente fruttuose. Ora il socialismo moderno (marxista) ha avuto la sua epoca di apogeo tra il 1890 ed il 1900, tra il 1905 ed il 1910 il socialismo ha cessato di attirare a sé le migliori forze intellettuali, e nei circoli dirigenti delle varie socialdemocrazie si notò un livello di spiritualità sempre più inferiore a quello delle rispettive “avanguardie” (ma queste - ed è una importantissima osservazione - fino al 1914 tentennarono nella ricerca affannosa, già resa “isterica” dal misterioso presentimento di catastrofi, di salde “verità nuove” e furono - le “avanguardie” - inghiottite dalla guerra prima di avere veramente trovato; dal 1918 al 1930 nuotarono rottami alla superficie del mare ancora agitato, nessuno navigò con vele dispiegate e bussola ben regolata).
Verso il 1915 il propagarsi spontaneo di scioperi generali (Italia, Austria-Ungheria), il sindacalismo con la Charte d’Amiens, la stessa rivoluzione russa mostrarono che il socialismo (o “nuova democrazia”) doveva decidersi: lanciarsi in un vasto movimento d’insurrezione, o, riconoscendo d’avere «spianato il terreno a utili riforme», senz’altro associarsi ai “partiti di governo”; diventare governativo dappertutto ove vi fosse la minima possibilità (Francia, Belgio, Italia, Inghilterra); nell’un caso come nell’altro si sarebbe probabilmente evitata la guerra. Nessuna sezione dell’Internazio ...[continua]
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