22 luglio s.d. probabilmente 1935
Carissimo, grazie per quel che mi mandi. Arrivare a qualche idea chiara mi pare sempre il bene più desiderabile. Temo tuttavia che se la discussione si rifacesse nelle condizioni dell’altra sera, poca speranza vi sarebbe di uscire dal vago, dal troppo soggettivo.
Opportuno potrebbe essere: di sospendere almeno a principio della discussione la pregiudiziale offensiva dell’“utopismo”, “città del sole” ecc...; non fa che provocare risentite risposte come “opportunista”, “filisteismi”.
Allo stesso modo: perché non aspettare un esame delle ragioni, forse non tutte assurde, prima di rimproverarmi d’aver assistito alle vicende del bolscevismo -durante 45 mesi- con sdilinquimenti da donnicciola, ed a questi “attacchi di nervi”, attribuire la mia convinzione sulla gratuità di certe alte qualifiche date ad un sistema ultra-militare e burocratico, su un uso della menzogna e del bluff in proporzioni non minori di quel che lo pratica il fascismo e sugli aspetti davvero non trascurabili di certe piccole “immoralità” (quelle per cui tu ironicamente supponevi che avrei spasimato con grida sentimentali sulla “santità della vita umana”; purtroppo non ho avuto occasione di gettare tali grida né allora né poi, perché giudico che non avrebbero nessun effetto su l’attuale generazione, abituata ad ogni orrore, incapace d’indignazione morale; allora, poiché a ben altro bisognava pensare e se con pazienti demarches e qualche volta vere astuzie mi è riuscito di fare uscire dalle cantine della Ceka una diecina di persone, non riesco a considerare ciò come “isterismo sentimentale”).
Per terminare questo esordio dirò ancora, che ammetto benissimo d’essere trattato come un fallito, come un “pariah” non solo nei riguardi economico-sociali; ma ho udito dire da grandi artisti ed anche da uomini d’azione che essi qualche utile suggerimento l’avevano raccolto proprio da taluno che era un vieux raté. Un po’ di esperienza, un po’ di perspicacia si possono acquistare anche nei naufragi. Ed è per questo motivo che mi permetto di “offrire il mio parere” nella speranza che serva di correttivo nei piani elaborati da persone alle quali di tutto cuore auguro successo.
Se per non rimanere “vago” o “involuto” occorresse chiarire i principii da cui parto nei miei ragionamenti, ecco come cercherei di formularli: 1) una constatazione, che mi sembra dedotta dall’esperienza (di tutto quanto ho veduto davvicino di organizzazione amministrativa, sindacale, politica, militare, diplomatica) è che bisogna sempre chiedersi che cosa diventi l’uomo -la persona concreta in carne, ossa, anima immortale, passaporto- in seguito a qualche “provvedimento generale”; che i “valori collettivi”: nazione, Stato, classe, partito, chiesa nel mondo attuale sono sempre “inumani” perché imbastiti, mantenuti, diretti da “menti energiche”, tecnicamente capacissime di far marciare il gregge umano, ma che mai si sono soffermate a rappresentarsi esattamente la vita (degli individui e degli “ambienti”) che con le loro “misure generali” rimescolano.
Non è sempre stato così: non soltanto Pericle o Gian della Bella conosceva uno per uno i suoi ateniesi o fiorentini, ma anche un despota, un re feudale o militare viveva con la gente a cui direttamente comandava in una comunione di sentimenti, di ritualità, di gusti ed abitudini che oggi non esiste fra organizzatori ed organizzati -il capitalismo naturalmente e l’immensità degli stati centralizzati, la meccanicità dell’urbanesimo dove ciascuno è “solitario nella folla”- e per conseguenza tutta una mentalità che molti credono normale (paragona Ford che “tratta bene” anonimi automi con faccia umana e un antico “imprenditore” che poteva amare o odiare ciascun suo servo; stessa mentalità d’un Lenin per il quale il singolo uomo non aveva interesse che come “strumento” - ma per giunta in un modo tutto diverso da quello in cui per es. Napoleone “utilizzava” gli uomini. Napoleone si attaccava, si appassionava per i suoi collaboratori, si sdegnava delle loro deficienze; Lenin indifferente valutava la “misura d’utilità” e senza rimpianto all’occorrenza sostituiva - magari trovando la stessa “produttività” che prima in un bipede, distribuita fra due o tre; non è differenza di temperamento, è spostamento di valori e di metodi determinato dal meccanismo della vita moderna. Ora questa riduzione dell’uomo a funzione mi sembra la grande calamità della nostra epoca. Dal momento in cui ho aderito al socia ...[continua]

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