Non sono un ottimista e non credo che usciremo molto presto e facilmente dalla situazione nella quale siamo precipitati. E ciò non perché manchi la volontà e ciascuno di noi che ci siamo dentro, qualunque sia l’etichetta politica che ci distingue (e le etichette sono tante, troppe!), non si proponga di uscirne come che sia e al più presto possibile, quanto perché ci manca la capacità di far vita nuova. Perché invece siamo ancora troppo legati al passato, e il passato ci domina e ci guida molto di più di quanto possiamo solo sospettare. E in tutti i campi.
Abbiamo dietro a noi come nazione quasi un secolo di storia. Dovremmo avere tratto sufficiente ammaestramento dal passato. Eppure non è così. Rivivono gli stessi sofismi, le stesse illusioni, gli stessi pregiudizi, si riproducono invariati gli stessi errori. Il passato, insomma, ci domina e ci trattiene più di quanto ci sospinga l’avvenire.
Fermiamoci sul terreno politico. È quello sul quale siamo precipitati di più. Tutto è crollato. Nessuno osa pensare, non dirò immaginare, che tutto possa ritornare come prima. La libertà è come un termine nuovo che non potrà essere altrimenti raggiunto che come sostanza di cose concrete, praticamente realizzate. Essa richiede soluzioni. E perché soluzioni vi siano esige anche un terreno sgombro d’impacci, di ostacoli, di vecchie strutture più o meno traballanti. Ebbene, è a questo punto, di fronte a questa fondamentale esigenza, che si esita, si indietreggia, si continua a operare quasi esattamente come prima.
Perché? L’ho già detto. Perché il passato ci domina e ci trattiene più di quanto l’avvenire non sospinga. Ciò dipende dal fatto che in quel passato abbiamo formato il nostro modo di pensare, di agire, di considerare e di risolvere tutti i problemi.

Noi siamo i figli dell’epoca più caratteristica del vincolismo più spinto, dell’accentramento, del burocratismo, dell’uniformità e del regolamentarismo. Sentiamo sì, perché non possiamo non sentirlo al punto in cui siamo, che c’è un problema di libertà, e di autonomia da risolvere, la democrazia da realizzare. Ma il vincolismo è entrato nelle nostre abitudini. Abbiamo avuto, e abbiamo, una educazione in senso autoritario. Le parole di libertà, di autonomia cambiano per noi di significato e di valore appena si tratti di tradurle nella pratica. La democrazia stessa, in ciascuno degli innumerevoli partiti che vi fanno richiamo, è intesa in senso opposto alla vera democrazia, come una posizione da conquistare per dominare e regolare di lì la vita dei cittadini e dello Stato. Avviene così che in tutte le manifestazioni della nostra nuova vita politica si copia, si ripete, in qualche caso si peggiora il fascismo. È un fatto questo che si verifica non solamente nelle manifestazioni esteriori, nei modi di fare e di dire, ma anche riguardo ai particolari problemi della vita interna dello Stato. È anzi allora che il passato vive più che mai. Gli uomini nuovi sono già prigionieri del sistema vecchio: ne sono così dentro e si trovano così irretiti in esso da non saperne uscire. E il fascismo è tutto lì, nel sistema, non già, come si è potuto pensare e come si preferisce ritenere, negli uomini che in quel sistema hanno agito e che l’hanno sviluppato, perfezionato, portato agli estremi. Accade invece che più il tempo trascorre e più tutti tendono a ridurre la questione del fascismo a una questione di uomini e di quegli uomini, e frattanto si mantiene in piedi il sistema e, nonostante le intenzioni in contrario, si affonda in esso ogni giorno maggiormente.

Sì dirà che io esagero. E preferisco ammetterlo per l’amore che porto al mio Paese e per il desiderio che ho di vederlo uscire a far vita nuova e migliore. Ma nessuno potrà negare che a far vita nuova non siamo ancora arrivati, che a ciò mancano anzitutto le premesse, che le abitudini, le consuetudini, il modo di vedere le cose e soprattutto il modo di farle, il meccanismo attraverso il quale pensiamo di affrontare e risolvere le nostre questioni, è rimasto pressoché immutato. Non è già per un caso che, in nove mesi di governo di liberazione, la democrazia, anche nelle sue applicazioni meno appariscenti e reali, come metodo cioè, non ha trovato un minimo, dico un minimo, di applicazione. È perché, invece, manca il senso di libertà, perché la pratica della democrazia è ancora lontana, molto lontana, dalle nostre abitudini e dalla nostra comprensione.
E non c’è, ripeto, da meravigliarsene. Abbiamo già avuto in Ital ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!