15 novembre. "Che semina discordia”
Isis, Califfato, Daesh… Come è giusto chiamarli? La rivista online statunitense "Vox”, ha provato a rispondere al dilemma del nome da dare a "quelli là”. Dal 2014 si è cominciato a cercare denominazioni che non sembrassero comportare una sorta di legittimazione, come fa la dicitura di "Stato Islamico di Iraq e Siria”, ancora oggi la più usata. Qualcuno ha aggiunto il prefisso "sedicente”; un altro tentativo è stato proposto quest’anno a Cameron da alcuni imam britannici: "Chiamateli Stato non-islamico”. Non pare abbia avuto molto successo, nonostante persino Obama vi abbia fatto ricorso lo scorso settembre. Il termine su cui puntano in molti è al-Dawla al-Islamiya fi Iraq wa al Sham. Vuol sempre dire "Stato Islamico di Iraq e Siria”, ma le iniziali fanno "Daesh”, parola molto simile all’arabo "dahes”, che significa "colui che semina discordia”. Di sicuro non piace a loro, che ne hanno vietato l’uso nei propri territori, dove vogliono essere chiamati "Califfato”. A dispetto delle intenzioni dell’una e dell’altra parte, come conferma un’indagine sui Google trends, allo scorso novembre il termine più usato, fra tutti quelli ricordati, è ancora di gran lunga "Isis”. (Vox.com)

17 novembre. L’Isis e il ’68
Farhad Khosrokhavar, franco-iraniano che da anni studia i percorsi che portano i giovani al fanatismo e alla violenza, in un’intervista apparsa su telerama.fr, fa un accostamento interessante tra Isis e ’68. Questi giovani, in plateale inversione di tendenza con il Maggio ’68, desiderano perdutamente norme repressive, desiderano dei capi, altro che "è vietato vietare”, qui il divieto è sacro, tant’è che più Daesh impone divieti più diventa attraente. Anche Olivier Roy, nel negare che razzismo ed esclusione sociale possano essere gli unici fattori esplicativi della scelta violenta, torna a parlare degli anni 70, per dire che più che di una radicalizzazione dell’Islam, siamo di fronte a un’islamizzazione del radicalismo, quindi a qualcosa che ha molto a che fare con una ribellione anche generazionale. L’accostamento con il ’68, se pare lontanissimo quando si parla di libertà, e ancor più se si considera il rapporto uomo-donna, evoca però anche certe analogie: la radicalità, appunto, ma anche il desiderio di comunità, la disponibilità al sacrificio estremo…

17 novembre. Marchiare il web?
Le luci della Tour Eiffel non sono state spente la notte del 13 novembre in segno di lutto. In quei momenti concitati in tanti, grandi media inclusi, sono rimasti abbindolati. E pensare che in molti sanno che le luci della Tour si spengono ogni notte all’una. È solo uno, forse il meno grave, dei tanti casi di notizie circolate senza controllo dopo la strage di Parigi, ma ha stimolato la riflessione di Claire Wardle, direttrice della ricerca per il Tow Center for Digital Journalism, secondo cui i social network dovrebbero introdurre strumenti per "marchiare” in diretta come falsi immagini, video e notizie sospette.  (Medium.com)

18 novembre. #OpIsis
Anonymous, il collettivo globale di hacker, ha intrapreso "#OpIsis”, una campagna online contro Daesh che si svolge su tre livelli: il più superficiale consiste nel monitoraggio degli account che diffondono propaganda jihadista su Twitter. Una volta individuato, l’utente sospetto viene segnalato agli amministratori del servizio, che ne valutano la sospensione. Il livello più sofisticato prevede hacking più classici e illegali, come gli attacchi Ddos (che indirizzano una grande quantità di traffico su un unico sito per farlo crollare) o le "infezioni” di virus nel codice del sito bersaglio. A questo livello lavorano hacker più esperti, che spesso collaborano con le agenzie governative; proprio per questo, alcuni attivisti sono fuoriusciti da Anonymous, che ci tiene a restare anti-sistema, per costituirsi in un soggetto di nome Ghost Security Group (GhostSec). GhostSec si impegna anche su un terzo livello, infiltrandosi nei forum jihadisti per scoprire gli indirizzi IP degli utenti. I risultati? Se c’è chi ritiene che il primo livello rischi di creare confusione, prendere di mira degli innocenti o mandare all’aria il lavoro dell’intelligence, sulle azioni hacker più sofisticate c’è riscontro: lo scorso giugno, GhostSec ha fornito all’Fbi le informazioni necessarie per smantellare una cellula di Daesh in Tunisia che puntava a ripetere l’attentato in spiaggia del giugno 2015 a Sousse. Un indizio lo fornisce lo stesso Daesh, che ha diramato ai suoi miliziani un vademecum su come non cadere vittima degli hacker. (Foreign Policy)

19 novembre. Intrappolati a Raqqa
Hala Kodmani, di "Liberation”, ha raccolto una testimonianza agghiacciante sulla situazione a Raqqa, dove attualmente duecentomila civili sono intrappolati in balia dei soprusi dell’Isis e dei bombardamenti di Assad. E dire, ricorda Kodmani, che fino a cinque anni fa, la metà dei siriani non sapeva nemmeno collocare su una cartina la città di Raqqa. Ahmad, ora rifugiatosi in Germania, riesce ancora in qualche modo a tenere i contatti con una città dove è ormai quasi impossibile far uscire le informazioni.
Duecentomila è lo stesso numero di abitanti che c’era prima della guerra. Il fatto è che la popolazione però non è più quella di prima: decine di migliaia di abitanti se ne sono andati negli ultimi due anni in fuga dalle atrocità del Califfato. Sono stati rimpiazzati da gente arrivata dal mondo intero. Si sono insediati, "con mogli e figli”, un po’ dappertutto, racconta una delle donne rimaste che non ha potuto impedire che l’appartamento del fratello rifugiatosi in Turchia venisse occupato da due famiglie di uiguri. (liberation.fr)

20 novembre. Non fingerti morto
Chi dovesse ritrovarsi nella stessa situazione delle vittime degli attentati di Parigi "deve correre, o nascondersi dietro un muro solido. Non  fingetevi morti”. Sono le raccomandazioni dell’antiterrorismo inglese dopo che i sopravvissuti alle sparatorie di venerdì 13 novembre hanno raccontato di come molti abbiano cercato di salvarsi proprio fingendosi già morti. No, pensate a scappare, e se c’è qualcuno con voi, convincetelo a seguirvi. "Lasciatevi ogni oggetto personale alle spalle”. E quando non è possibile fuggire? Cercate un riparo, ma ricordate che il fatto che non vi vedano non vuol dire che siete al sicuro. Nascondetevi dietro un bel muro solido. Una volta nascosti, "non fate rumore, lasciate il cellulare su ‘silenzioso’ e cercate aiuto solo dopo esservi assicurati di avere un riparo sicuro”.
(theguardian.com)

21 novembre. L’imam Google
In Francia, la scorsa settimana, Xavier Bertrand, deputato dei Republicains (il nuovo nome dell’Ump, il partito di Nicolas Sarkozy), ha fustigato l’immobilismo di Google di fronte alla diffusione di messaggi jihadisti in rete, parlando proprio di un "imam Google”. Se è vero che sempre più giovani si auto-radicalazzano a casa davanti al computer piuttosto che in moschea, ha denunciato Bertrand, è tempo allora che i vari social, Twitter, Facebook, e appunto Google, si assumano le loro responsabilità.
Già Facebook era stato accusato di un’eccessiva tolleranza davanti a ciò che gira in certi profili. Da marzo di quest’anno il Ministero degli Interni può intervenire bloccando dei siti sospetti, ma il sistema finora si era rivelato piuttosto precario. Ora è prevista una stretta.
(lemonde.fr)

23 novembre. Messaggio ricevuto
Tutta la retorica di tanti, e dei nostri presidenti anche, sull’attacco al nostro modo di vivere, ai nostri valori, eccetera, eccetera, lascia il tempo che trova. Gli attentati erano un messaggio preciso di diffida agli altri paesi europei dall’affiancare Francia e Stati Uniti nei bombardamenti. La risposta italiana è stata chiara e ferma.

24 novembre. I sacrifici per Kobane
Riconquistata dai curdi con l’aiuto dei bombardamenti americani lo scorso gennaio, a Kobane la vita sta lentamente ripartendo. Qualcuno è tornato: è il caso di Mohammad, che per qualche tempo aveva trovato rifugio in Turchia. Ora il meccanico cinquantaseienne si reca tutte le mattine davanti alla casa semidistrutta in cui aveva cresciuto i tre figli. I due maggiori, di 17 e 29 anni, si erano arruolati con la resistenza curda e sono morti in battaglia, così quand’era in Turchia lui ha messo il terzo, quindicenne, su un barcone diretto in Europa. "Avrei dovuto sacrificarli tutti e tre?”.
Come tanti suoi concittadini, Mohammad non riesce a capire perché Daesh abbia speso tante energie per conquistare la sua città, dove l’80% degli edifici è danneggiato. "Non ci hanno lasciato nulla -commenta amaramente-, né i soldi, né le case, né i nostri figli”.
(The New York Times)

25 novembre. Il razzismo di Daesh
Secondo i servizi segreti indiani, Daesh discrimina i suoi stessi combattenti. I musulmani del Sud Est asiatico che si sono dati al Califfato  vengono alloggiati peggio, pagati peggio, attrezzati peggio, e spesso gli si affidano missioni kamikaze -ma a loro insaputa.
È il risultato di un’indagine su 23 indiani unitisi a Daesh, sei dei quali sono rimasti uccisi. Non capita solo agli asiatici: anche i musulmani provenienti da paesi africani ricevono un trattamento simile. I non-arabi sono trattati come "carne da cannone”, mandati avanti, mentre gli arabi restano spesso nelle retrovie. Un razzismo istituzionalizzato anche nelle forze di polizia interne, dove sono ammessi solo tunisini, palestinesi, sauditi, iracheni e siriani.
(India Times)

27 novembre. Cosa pensano i musulmani
In Gran Bretagna ha fatto scalpore la copertina del "Sun” in cui si diceva che un musulmano su cinque prova una certa (o molta) simpatia per l’Isis. Su Twitter è subito partito un movimento di protesta, ma che cosa pensino i musulmani dell’Isis è in effetti un interrogativo cruciale. Il Pew Research Center la scorsa primavera ha pubblicato i risultati di indagini condotte in dieci paesi a maggioranza musulmana da cui risulta un atteggiamento "enormemente negativo” verso l’Isis: il 99% dei libanesi e il 94% dei giordani sono contrari all’Isis e perfino in Arabia Saudita solo il 4% ha espresso pareri favorevoli sullo Stato Islamico. Se in Iran prevale la versione dell’Isis prodotto dell’Occidente e "strumento della Casa Bianca, dell’Eliseo, di Buckingham Palace, di Tel Aviv, ecc.”, c’è chi, come Ibtihal al-Khatib, scrittore kuwaitiano, denuncia come l’Isis non sia emerso da un vuoto, ma da un patrimonio che i pensatori islamici rifiutano di riformare: "Stiamo pagando il prezzo per essere rimasti in silenzio per molti anni, ora che i danni prodotti vengono a bussare alla nostra porta, dobbiamo accettarne la responsabilità”. (economist.com)

29 novembre. La busta
Al congedo, gli operatori di droni militari Usa ricevono una busta sigillata. Dentro c’è scritto il numero di morti provocate dalle missioni cui hanno partecipato. Molti non hanno il coraggio di aprirla, ma Brandon Bryant, che con i droni ha condotto missioni tra 2005 e 2011, l’ha fatto: dentro c’era scritto "1.626”.
(theguardian.com)

30 novembre. Il corpo degli jihadisti
Dove seppellire il corpo degli jihadisti morti negli attentati? Una regolare inumazione rischia di essere equiparata a una sorta di legittimazione. Ma si può negare a un essere umano il diritto alla sepoltura? Riva Kastoryano, del Cnrs, si è posta questi e altri interrogativi nella sua ultima ricerca intitolata appunto "Che fare del corpo degli jihadisti?”. Questi corpi sono armi di guerra e diventano oggetto di sacrificio  in nome della Umma, una comunità musulmana che non ha confini geografici. Ecco allora il problema che si pone quando muoiono nel corso di un attentato suicida: qual è il paese che deve accoglierne le spoglie? Quello che ha dato loro la cittadinanza, quello dell’attentato? Come non bastasse questi corpi spesso non vengono reclamati, né dalla famiglia, né dalla comunità, né dal loro Stato. Meglio far calare il silenzio. Gli Stati Uniti hanno lasciato sprofondare il corpo di Bin Laden nel mare di Oman, così che non ne rimanesse traccia e anche per evitare possibili pellegrinaggi. Mohammed Merah, franco-algerino, è stato sepolto a Tolosa con una copertura mediatica che ha fatto molto discutere. L’Algeria ha rifiutato di dar sepoltura ai fratelli Kouachi, nati in Francia da genitori algerini. Sono stati infine interrati a Reims e Gennevilliers. Contro la volontà di entrambi i sindaci. Amedy Coulibaly è stato sepolto in gran segreto nel cimitero parigino di Thiais (Val-de-Marne). (lemonde.fr)

1 dicembre. Pallottole
Daesh sta facendo la corte ai principali armaioli del Medio Oriente. Ha soprattutto bisogno di munizioni: secondo le stime degli "addetti ai lavori”, combattenti e mercanti d’armi, nella campagna di Deir Ezzor (nella Siria orientale), tra dicembre ’14 e marzo di quest’anno Daesh ha speso un milione di dollari al mese solo in pallottole. La fonte privilegiata per assicurarsene in gran numero sono, spesso, gli stessi nemici: le milizie filo-governative irachene vendono le munizioni sul mercato nero, e di lì arrivano a Daesh tramite mercanti d’armi cui il califfato rilascia un permesso ufficiale. Un’altra fonte sono le scorte che Russia e Iran inviano ad Assad, ma vengono intercettate dai contrabbandieri.
Racconta Abu Omar, armaiolo che per un po’ ha lavorato per Daesh: "Preferiscono la merce russa, comprano anche la roba iraniana ma solo se gliela si svende. Non gli importa da chi compriamo: se potessimo vendere loro munizioni israeliane andrebbe bene lo stesso”. Abu li ha mollati perché "opprimenti”: una volta in affari con loro, non si può commerciare con altri. D’altra parte, in tempo di guerra la compravendita di munizioni è uno dei pochi settori redditizi, e per un mercante d’armi che lascia, altri cento prendono il suo posto. "A nessuno importa più a chi si vende. Conta solo il dollaro”. (Financial Times)

2 dicembre. I costi della sicurezza
Flanders Today, sito di informazione belga, ha stimato quanto sono costati alla città di Bruxelles i sei giorni di "allarme massimo” a seguito degli attentati di Parigi: oltre 310 milioni di euro, cioè 51,7 milioni al giorno. Secondo gli analisti del programma televisivo della Vrt "De vrije market” il danno economico sugli esercizi commerciali, dove un lavoratore su cinque non è riuscito a recarsi al lavoro o è dovuto restare coi figli perché le scuole sono rimaste chiuse, si avvicina ai trenta milioni di euro. I soli ristoranti hanno perso 22 milioni. Gli unici settori in crescita a seguito del "lockdown” sono risultati quelli della sicurezza privata e delle vendite online, anche se per ora gli incrementi non sono stati quantificati con esattezza. C’è poi un altro costo per ora non misurabile, ma che certo sarà salatissimo: quello all’immagine del paese. (flanderstoday.eu)

7 dicembre. Amici stretti
Nell’ultimo rapporto del Pew Research Center, che unisce varie indagini statistiche sui musulmani nel mondo, emerge un dato particolare, già contenuto in un’analisi effettuata nel decennale dell’11 settembre: meno della metà (48%) dei musulmani americani dichiarano di avere una maggioranza o una totalità di amici correligionari. La mediana degli altri 39 paesi dà ben altro risultato: 95%. (PewResearch.org)
10 dicembre. I rifugiati e l’Isis
Gli strateghi ci insegnano che non bisogna combattere la guerra che i nostri nemici vogliono che noi combattiamo. E la paura è sempre un pessimo consigliere. Così comincia un lungo e appassionato intervento di Michael Ignatieff apparso sulla "New York Review of Books” per dire che è tempo che gli Stati Uniti ricordino cos’hanno fatto nel ’57, quando hanno accolto gli ungheresi, o dopo il ’75, quando hanno messo in salvo 130.000 vietnamiti e ancora il 1999, quando in un solo mese hanno aperto le porte a 4.000 kosovari. L’amministrazione Obama deve accogliere l’appello dell’Unhcr e accettare 65.000 profughi. Niente rispetto ai quattro milioni in fuga dalla Siria, ma un segnale importante per incoraggiare altri paesi a fare la propria parte. Così come sarebbe importante, continua Ignatieff, far capire a Cina e Russia, membri del Consiglio di Sicurezza, che essere leader globali vuol dire anche assumersi delle responsabilità. Per ora la Cina non ha fatto pressoché nulla per alleviare questa crisi e anche la Russia non si è distinta per generosità negli aiuti. Se l’Isis vuole convincere il mondo dell’indifferenza dell’Occidente per la sofferenza dei musulmani, accogliere i rifugiati e puntare al più presto a un cessate il fuoco in Siria (che veda al tavolo anche l’opposizione ad Assad) è un ottimo modo per iniziare a dimostrare il contrario. (nybooks.com)

13 dicembre. I bombardamenti altrui
"Non rincorro bombardamenti altrui”, ha detto il nostro premier. Dopo tutto il dire che "eravamo francesi” e ad appena un mese dal massacro di Parigi la parola "altrui” francamente non ce l’aspettavamo.
Comunque vorremmo ricordare al premier che è grazie ai bombardamenti altrui se Kobane e Sinjar sono state liberate, se da un po’ di tempo non ci arrivano notizie di migliaia di prigionieri sgozzati, di cacce ai cristiani, di donne schiavizzate. È grazie a quei bombardamenti altrui se per la prima volta gli orribili islamisti sono in difficoltà e i loro capi, uno alla volta, cadono. Evidentemente per il nostro premier questi sono risultati altrui, che non interessano tutto il mondo civile, noi compresi. O forse è troppo preso dalla resistenza strenua a cui chiama il suo popolo: continuare la vita di sempre e per "ogni euro in sicurezza un euro in cultura”. Immaginiamo la paura che avranno avuto a Raqqa. E mentre Obama fa l’elenco dei colpi inferti coi bombardamenti agli islamisti, e Putin fa altrettanto, mentre gli aerei inglesi vanno ad affiancare quelli francesi e quelli tedeschi li accompagnano, il nostro governo fa l’elenco dei risultati della nostra lotta: 55 sospetti fermati ed espulsi. In terre altrui.

14 dicembre. Filtri
Lo ha raccontato Donato Speroni su Facebook: "Ieri siamo stati al cinema a vedere Dio esiste e vive a Bruxelles (carino). Ho comprato i biglietti on line, ma l’acquisto via Paypal è stato sospeso. Al cinema mi hanno spiegato che il filtro antiterrorismo bloccava tutte le transazioni contenenti la parola Dio e la parola Bruxelles e che loro stavano impazzendo…”.