Ecco dunque un economista che, rompendo i confini secolari delle vecchie scuole, osa mettere il piede nel mondo dei reietti per esplorarlo, convinto che le tendenze dell’umana società avrebbero un giorno o l’altro reclamata l’urgenza della Questione Sociale. Sdegnò le paure insipienti degli uni e le interessate e meschine prevenzioni degli altri fra i suoi confratelli in Economia, e, accompagnato dallo spirito d’osservazione e dall’amore al Giusto, affacciossi all’orizzonte del socialismo e disse a se stesso: "Importanti ragioni teoriche e pratiche richiedono che le idee socialistiche siano studiate a fondo e con imparzialità: le si studiino dunque!”. E si mise a studiarle, e tracciò nei frammenti, che qui si pubblicano, lo schizzo delle idee fondamentali dell’opera, che, come dicemmo, esso aveva concepito di compiere.
Stuart Mill, in questi frammenti, collocandosi fra l’Economismo e il Socialismo, crea innanzi tutto per i vecchi economisti un precedente pieno di pericoli, e per i socialisti un precedente pieno di promesse.
Peccato che, quand’egli sbozzava queste pagine, il Collettivismo non fosse scientificamente divulgato e autorevole come lo era invece il Comunismo autoritario! Tutte le lunghe citazioni d’opere, infatti, che gli servono come argomento di critica sono tolte da autori delle vecchie scuole socialiste non collettiviste.
Ma, prescindendo anche da questa considerazione, noi ci domandiamo: Cosa avrebbe risposto Mill al Capitale di Carlo Marx? Avrebbe esso potuto difendere gli ultimi resti della sua fiducia nello spirito borghese di fronte alle rivelazioni e alle elucubrazioni del socialismo scientifico come oggi si presenta? Le sue idee ottimiste sul salario non si sarebbero forse modificate -in esso, tanto onesto di mente- al cospetto della inesorabile legge di ferro dei salari, con tanta copia di dottrina da Ferdinando Lassalle dimostrata. Che direbbe oggi l’illustre scrittore inglese vedendo la concorrenza farsi ognor più illiberale restringendosi attorno al perno di pochi privilegiati che tutto assorbono e impediscono ogni virtù espansiva ai gruppi cooperativi dei lavoratori?
Quanto meno avventate gli sarebbero oggi apparse le avventatezze di ieri! e quanto più disordinato l’ordine vigente! Alla sua dialettica acuta, minuziosa, svisceratrice, nulla sarebbe sfuggito dei peggioramenti sopravvenuti; e alle sue confessioni, preziosissime pei socialisti, senza dubbio altre ne avrebbe aggiunto e più salienti.
Né si dica che il desiderio fa a noi velo al vero: no. Le nostre induzioni fissano innanzi tutto il loro punto di partenza sulle chiaroveggenti previsioni che Mill aveva intorno alle classi operaie e sul patrocinio ragionato e convinto che di esse si era assunto. In Mill si scorge subito l’uomo di cuore che va dì conserva coll’uomo di scienza -combinazione non molto frequente;- e quando il cuore non lo si aggioga sotto le pastoie di partigiane ed interessate dottrine, il pensiero indietro non va, e nemmeno fa sosta a mezzo il cammino, ma procede col volo del genio. E Mill aveva genio. E come non avvedersene? Basti questo fatto. Ispirato dalla severa logica dei fatti e dei fini sociali, egli vi dichiara che, dopo tutto, non sarebbe stato contrario a che la terra diventasse proprietà dello Stato! Chi è che non intravvede il Collettivismo in questo lampo d’idea? Egli è vero che Mill non riuscì a sciogliere questo lampo felice dalla nebulosa del Comunismo per dargli un’aureola propria, ma chi ci assicura che, se avesse potuto ritemprarsi al cozzo del Collettivismo odierno, non avrebbe finalmente gridato anch’esso l’eurèka, che i collettivisti oggi acclamano?
Del resto, chi fra i moderni economisti ha avuto il coraggio di dire alle classi dirigenti: Prima di condannare le istituzioni socialistiche, lasciate a loro il campo degli esperimenti? Nessuno lo disse, né come atto di ...[continua]
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