Ma sebbene per tali ragioni la proprietà individuale abbia innanzi a sé un lungo avvenire, nulla ci obbliga a credere che non possa subire una modificazione, e che non si possa distaccare da essa qualcuno de’ dritti che la costituiscono. Il dovere e l’interesse di coloro che traggono un vantaggio diretto dalle leggi di proprietà, loro impongono di prestare un’attenzione imparziale a tutte le proposte di cambiamento che potessero rendere tali leggi onerose alla maggioranza. È questo un obbligo imposto dalla giustizia e nello stesso tempo un consiglio di prudenza: stando dalla parte della ragione si può meglio resistere ai tentativi che si faranno per attuare prematuramente i sistemi socialistici.
Un errore assai frequente -che produce disastrose conseguenze negli affari umani- consiste nel supporre che lo stesso nome rappresenti sempre lo stesso ordine d’idee. Nessuna parola ha dato luogo a tanti equivoci come la parola Proprietà. Essa esprime in uno stato sociale dei diritti di uso o di dominio sulle cose e qualche volta disgraziatamente sulle persone che la legge accorda o la consuetudine consente in un dato stato della società. Ma questi diritti di uso e di dominio sono assai diversi; differiscono moltissimo nei vari paesi e nei vari stati sociali.
Per esempio, nelle società primitive il diritto di proprietà non comprendeva il diritto di testare. Il poter disporre della proprietà per testamento in molti paesi d’Europa è un’istituzione recente, e dopo un certo tempo che venne introdotta fu ristretta a favore delle persone designate sotto il nome di eredi naturali. Senza la facoltà di testare la proprietà individuale può considerarsi come un vitalizio. Infatti, come Enrico Taine l’ha ben dimostrato nel suo libro così istruttivo, L’antica legge, il concetto primitivo della proprietà s’attribuiva alla famiglia non all’individuo. Il capo della famiglia ne era il gerente ed esercitava tutto il diritto del proprietario, governando la famiglia sotto questo rispetto come sotto qualunque altro, in una maniera quasi dispotica. Non era però libero nell’esercizio dei suoi poteri fino al punto di spogliare i membri della famiglia che erano comproprietari, privandoli di goderne collettivamente, o scartandoli dalla successione. In virtù di leggi e consuetudini di alcune nazioni la proprietà non poteva essere alienata senza il consenso dei figli maschi. Altrove il figlio poteva, in nome della legge, domandare la divisione della proprietà, e farsi dare la sua porzione, come si osserva nel racconto del Figliuol Prodigo. Se l’associazione si perpetuava dopo la morte del capo, un altro membro della famiglia, non sempre il figlio, ma spesso il più anziano o l’eletto dagli altri membri, succedeva come gerente, restando immutati i diritti degli altri. Se l’associazione si scioglieva per formare molte famiglie, ciascuno portava con sé una parte della proprietà, dico proprietà e non eredità, poiché continuavasi ad esercitare de’ diritti esistenti e non se ne creavano de’ nuovi, la sola porzione del gerente spettando all’associazione.
Aggiungiamo che per quanto concerne la proprietà degli immobili (ch’era la principale specie di proprietà in tempo di barbarie) i diritti differivano grandeme ...[continua]
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