Abbiamo ricevuto, tramite amici comuni, il testo di Arcipelago ictus, di Samsa Gregor, reperibile su Youcanprint.it, che ci ha colpito per la gravità del colpo e la vitalità del recupero. Ne pubblichiamo il primo capitolo, "Il contesto”, con il permesso dell’autore, che in realtà si chiama Riccardo Semproni. 

Il comprendonio e la curiosità intellettuale per fortuna non li ho mai persi, neanche nella fase più acuta quando, incapace di muovere l’intero lato sinistro del corpo e portato d’urgenza in ospedale, mi sono messo a seguire rapito le luci roteanti della prima Tac della mia vita come uno spettacolo nuovo e affascinante da ammirare e non come un evento drammatico che riguardasse me in prima persona. Raziocinio e curiosità intellettuale, queste credo siano state le due più grandi fortune per uno come me, cresciuto a pane e Superquark, in questa esperienza impegnativa dell’ictus, che di punto in bianco ha stravolto la mia vita e i miei punti di riferimento. Non ti riconosci più, non solo perché non riesci a eseguire movimenti in un lato del corpo, ma neanche riesci più a pensarli e nemmeno a immaginarli. È difficile capirlo per chi non ci sia passato direttamente. Non è la stessa cosa di non riuscire a usare un braccio o una gamba perché ti sei fatto male, perché in quel caso la rappresentazione di te nella tua testa non cambia, così come la tua percezione del corpo nello spazio.
Con l’ictus, invece, non solo non riesci a muovere una parte del corpo, ma neanche a percepirla. O, se la percepisci, è in un modo alieno, che non riconosci. Non sai più dove si trovano i tuoi confini e ti sembra di occupare molto più spazio di quello che in realtà è. Così hai difficoltà a muoverti in spazi ristretti, quando riesci a muoverti, ma ciò non ti impedisce di andare a sbattere col braccio plegico ogni volta che sei distratto e ti muovi senza una forte concentrazione e attenzione a quello che stai facendo e a come lo fai. Cose che rendono anche la giornata più semplice "in salita” e procurano una spossatezza insolita perfino per te che eri abituato a ritmi di lavoro e di concentrazione abbastanza disumani, eppure… niente in confronto!
Per tutto il primo anno gli attimi più felici della giornata sono stati quando arrivava il momento del riposo pomeridiano e notturno e sprofondavo nel letto con un senso di gratitudine! Inoltre, imparerò più avanti che c’è in ballo anche un meccanismo protettivo adottato dal cervello a seguito di un ictus: la "diaschisi”, una strategia biologica di difesa che tende a evitare un sovraccarico delle strutture interessate dalla lesione, per cui vengono inibite anche altre aree e strutture cerebrali che non sono anatomicamente collegate con quelle lese, ma che sono a esse funzionalmente connesse, ovvero con le quali partecipano in sinergia all’interno di alcune funzioni tramite il continuo scambio di informazioni. All’interno della diaschisi si ha quindi una fase acuta di "shock” dove l’inibizione è molto ampia e coinvolge molte zone del cervello e dei circuiti nervosi. L’organizzazione del movimento è un processo complesso basato sull’attivazione simultanea di processi mentali e cognitivi come l’intenzione, l’attenzione, la percezione, la memoria ed altri. (La risonanza magnetica ha dimostrato che le aree cerebrali che si attivano quando si allunga un braccio per prendere un bicchiere d’acqua da bere sono in parte diverse da quelle che si attivano quando si compie lo stesso gesto per prendere un libro da leggere, per fare un esempio). È per questo motivo che in seguito a un ictus la fase acuta è caratterizzata non solo da problemi motori, come la paralisi flaccida, chiamata così proprio per la quasi totale impossibilità di muovere la metà del corpo opposta alla lesione (lesione all’emisfero destro, paralisi del lato sinistro), ma anche da una serie di difficoltà cognitive, di attenzione, di concentrazione, di memoria. Poi, oltre che per gli aspetti corporei, motori e cognitivi, dopo l’ictus non ti riconosci più neanche dal punto di vista emotivo e caratteriale. Ne sa qualcosa la mia famiglia, che ho messo a dura prova con i miei frequenti scoppi d’ira, soprattutto all’inizio, ma a distanza di cinque anni non ho ancora recuperato la calma olimpica e la stabilità emotiva di prima e, anche se le cose ora vanno molto meglio, il mio livello di sopportazione prima che una situazione mi faccia arrabbiare è ancora piuttosto basso, oltre all’assenza di freni inibitori nell’esterna ...[continua]

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