Il cambio di casacca in politica non è un fatto occasionale. Anche nelle democrazie più consolidate capita di vedere politici che cambiano di schieramento durante il mandato. Le ragioni possono essere tante e svariate. C’è, ad esempio, chi se ne va sbattendo la porta per antagonismo personale o perché non ha ottenuto la carica a cui ambiva o che gli era stata promessa, chi non si identifica più nel programma del proprio partito, chi non condivide le scelte di una coalizione o chi semplicemente giudica più conveniente spostarsi in un’altra formazione dove ha più possibilità di essere rieletto. Nel parlamento europeo i passaggi da un gruppo all’altro sono abbastanza frequenti a tal punto che alla metà di ogni legislatura si azzerano gli accordi ricalcolando le risorse sia finanziarie che umane in base alla consistenza aggiornata delle famiglie politiche. Nell’eurocamera, però, tradizionalmente la disciplina di partito non è così severa dovendo fare i conti con sensibilità nazionali che spesso travalicano gli steccati ideologici. I salti di campo, in questo caso, avvengono per lo più per ragioni di cucina politica interna del paese di origine oppure per ottenere un trattamento migliore.
Quando poi ad andarsene sono più deputati contemporaneamente e questi danno vita ad un nuovo raggruppamento si parla di scissione. Ci sono, infine, situazioni paradossali quando la composizione del parlamento uscente risulta completamente diversa da quella di inizio legislatura. Nei primi anni Novanta, ad esempio, le inchieste del pool dei giudici di Mani Pulite misero a soqquadro la configurazione politica tradizionale del nostro paese con migliaia di eletti che furono costretti a cercarsi una nuova casa dopo la scomparsa del partito con il quale avevano ottenuto il mandato. Nelle democrazie più giovani, in particolare nei paesi dell’Europa orientale usciti dal tunnel del socialismo realizzato, il cambio di casacca è diventato un fenomeno ricorrente. In Ucraina, per mettere un freno all’incessante balletto dei deputati che cambiano sponda, negli anni scorsi si è perfino cercato, senza successo, di introdurre il mandato imperativo che impedisce all’eletto di muoversi da gruppo all’altro. Una norma di questo tipo, infatti, si scontra con qualsiasi ordinamento costituzionale perché mette a rischio la libertà di coscienza dell’individuo. Il ruolo dell’eletto verrebbe ridotto a quello di "yes man” obbligato in aula ad alzare la mano come un robot agli ordini del rispettivo capogruppo. Ci sono, poi, situazioni estreme in cui lo spostamento di deputati è così consistente da rendere la composizione di un parlamento irriconoscibile rispetto al risultato uscito dalle urne. è il caso della Moldavia dove si è registrata una vera a propria migrazione di partito.
Avevo lasciato Chisinau nel 2014 certificando con la missione internazionale di osservazione elettorale la vittoria sul filo di lana dei partiti filo-europei a scapito di quelli orientati verso Mosca. Torno oggi a Chisinau per seguire di nuovo le elezioni legislative con un’assemblea stravolta rispetto all’assetto di cinque anni prima. Dei 101 membri che la compongono 38 hanno cambiato gruppo. A beneficiarne, in particolare, è stato il Partito democratico, al governo, che ha più che raddoppiato i propri seggi passando da 19 a 42 deputati nel volgere di pochi mesi.
A farne le spese sono stati il Partito comunista che ha perso 15 dei suoi 21 deputati e quello Liberal Democratico i cui seggi si sono ridotti a 5 rispetto ai 23 di partenza. Che l’oligarca Vladimir Plahotniuc fosse la persona più potente della Moldavia era un fatto risaputo; che fosse così influente, però, non era affatto scontato. Plahotniuc è il padre padrone del Partito democratico. Stalin sosteneva che non conta chi vota, ma chi conta i voti, alludendo alla possibilità di manipolare il risultato delle elezioni quando questo non è gradito o non è in linea con le attese di chi detiene il potere. In Moldavia questo concetto è stato rielaborato e perfezionato. Qui si può accettare anche un conteggio dei voti meticoloso e trasparente. Gli eletti, si sa, sono esseri umani e come tali mutevoli e cangianti, inclini, quindi, a lasciarsi convincere a cambiare opinione in presenza di buone ragioni. Non importa, poi, quali siano queste ragioni, se si possano confessare e a che tipo di valori, ideali o venali, facciano riferimento. Per la Moldavia gli analisti politici hanno coniato la definizione di "c ...[continua]

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