Ma se vivo in questo paese che io amo nonostante le sue disgrazie, ed in questa società che non amo nonostante il suo prestigio, se credo alla fede inevitabile e giusta di soffrire del comune male, non è che io non immagini un’altra vita, non è che mi sia sufficiente quel fantasma di libertà che sopravvive tra di noi, circondato di padroni e di servi. Senza la vera libertà e senza un certo onore, io non posso vivere. E avendolo riconosciuto una volta, avendo giudicato che questi beni sono al di sopra di tutto, m’è parso che avrebbero dovuto essere assicurati a tutti e nell’attesa che arrivi il loro regno, bisogna lottare senza tregua per testimoniare in loro favore, in misura delle nostre forze.
[...] Ho cercato di rispettare il mio mestiere, non potendo ingenuamente stimare me stesso. Ho cercato in particolar modo di rispettare le parole che scrivevo, poiché attraverso esse rispettavo coloro che potevano leggerle e che non volevo ingannare. è stato necessario farlo in lotte spesso faticose e che, francamente, mi sono costate e mi costano ancora. Queste lotte tuttavia sono inevitabili; le ho accettate e le accetterò. Ma io so che rischiavano di inaridirmi, di farmi conoscere delle amarezze per le quali non sono fatto. Esse rischiavano, in una parola, di rendermi avaro di gioia e di vita senza la quale un artista è nulla.
Se sono sfuggito, finalmente, a quel pericolo, ed è proprio qui che io volevo arrivate, lo debbo all’amicizia, lo debbo a certuni di voi. Perciò debbo a loro quasi tutto. Questi uomini sono di tutti i partiti e di tutte le patrie. Sono i miei amici di Francia che sanno che non posso parlare di loro pubblicamente. Sono, come questa sera, i miei amici d’Israele, dell’esemplare Israele che si vuol distruggere sotto il pretesto dell’anticolonialismo, ma della quale noi dobbiamo difendere il diritto di vivere, noi che siamo stati testimoni del massacro di milioni di ebrei e che troviamo giusto e buono che i sopravvissuti creino la patria che non abbiamo saputo né dar loro né salvare. Sono anche i miei amici dell’America del Sud e in particolar modo quelli della Colombia, finalmente liberi grazie all’instancabile azione di qualche uomo che è tra di noi questa sera ed al quale tutti noi portiamo lo stesso rispetto e lo stesso affetto.
Ma io sono certo che voi mi permetterete, per una sera, di simbolizzare questa amicizia nella Spagna dell’esilio. Amici spagnoli, siamo in parte dello stesso sangue e io ho, verso la vostra patria, la sua letteratura ed il suo popolo, la sua tradizione, un debito che non estinguerò mai. Ma ho verso di voi, le cui sofferenze e miserie non sono ancora cessate, un altro debito che voi non conoscete e non potete conoscere. Nella vita di uno scrittore militante, sono necessarie delle sorgenti calorose per arrivare a lottare contro l’oscuramento di cui vi ho parlato e l’aridità che si trova nella lotta. Voi siete stati, voi siete per me una di queste sorgenti e sul mio cammino ho sempre trovato la vostra amicizia attiva, generosa. La Spagna dell’esilio mi ha sempre mostrato una gratitudine sproporzionata. Gli esiliati spagnoli si sono battuti per anni e poi hanno accettato fieramente il dolore interminabile dell’esilio. Io ho soltanto scritto che essi avevano ragione. E solo per questo ho ricevuto -da anni e di nuovo questa sera- negli sguardi che incontro, la fedele, leale amicizia spagnola che mi aiuta a vivere. Quest’amicizia, benché sia immeritata, è la fierezza della mia vita. Essa è, veramente, la sola ricompensa che posso desiderare.
Voglio soltanto dire a tutti che cercherò di non demeritare questa amicizia. Io non vi lascio, vi rimango fedele... Voi sapete che non ho l’abitudine di annunciare le prossime vittorie e i giorni di festa. Voi ed io sappiamo che le nostre lotte sono interminabili. Ma sono la trama stessa della nostra vita, la nostra vita stessa. L’essenziale è che noi la viviamo insieme, lealmente, calorosamente, con lo stesso cuore che sento oggi, ringraziandovi un’ultima volta e dicendovi la gratitudine del vostro fedele amico.
Albert Camus
"Volontà”, anno XI, n. 4, aprile 1958
Albert Camus su Volontà dell'aprile '58
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