Grazie intanto per avermi invitata a presentare e a leggere questo libro. Devo confessare che quando Cesare Panizza, il curatore, mi ha proposto di partecipare a questa presentazione, ero piuttosto perplessa perché la biografia e la cultura politica di Nicola Chiaromonte è un tema che non ho mai approfondito nei miei percorsi di ricerca. Invece, leggendo questo libro, mi sono presto ricreduta. C’è un filo che collega questa corrispondenza e le cose di cui mi occupo e su cui vorrei provare a dire alcune cose, che riguarda il rapporto tra individuale e collettivo e tra pubblico e privato.
Tra i due corrispondenti è evidente che non c’è solo una grande intesa intellettuale, ma anche ciò che qualcuno ha definito "una tenera amicizia”. Inoltre i toni dello scambio affettivo nelle lettere vanno in crescendo. Verosimilmente succede qualcosa nello scambio affettivo, perché si passa da espressioni tipo "Carissima Muska, ti saluto, sii lieta”, ad altre del tenore di "Ti abbraccio”, fino a formule anche più intense. Ad esempio, a un certo punto, in una delle lettere secondo me più belle della raccolta, Nicola Chiaromonte scrive -siamo nel gennaio del ’68: "Ma, ora, subito, col rammarico anzi di queste poche righe e pochi momenti frammessi, devo dirti che doni come la lettera che mi è giunta stamane -pochi minuti fa- sono così grandi -quasi insperati- eppure proprio quello che da te aspetto e di te so.
Tessute del tuo essere più bello e più forte (vorrei dire anche "più altero”, comunque più nobile), sono le tue parole. E mi fai paura quando dici della tentazione che hai avuta di strapparla, una tale lettera. Perché? Sai, anch’io, a volte, vorrei dirti molto di più di quello che dico -lasciarmi andare al trasporto irresistibile verso di te, che è diventato come il mio fuoco interiore”.
Ecco qui c’è un nodo che a me sembra molto interessante ed è il rapporto tra il codice attraverso cui questa comunicazione si svolge, che Chiaromonte tematizza esplicitamente sin dalle prime lettere identificandolo con quello dell’amore cortese, e l’ideale di questi piccoli gruppi, piccole comunità che, nel pensiero di Chiaromonte, se capisco bene, rappresentano anche l’idea di che cos’è, cosa può essere, uno spazio pubblico libero.
Mi sembra molto interessante come si intreccia questa connessione tra una forma, diciamo, di comunicazione amorosa, benché sublimata, che ha a che fare con la relazione tra un uomo e una donna e, invece, forme di intendere l’agire pubblico e l’agire collettivo. È un tema a cui Cesare accenna, in modo molto preciso e puntuale, nell’introduzione. Leggendo il libro, per prima cosa, ho provato a capire chi erano queste due persone quando hanno iniziato a scrivere, perché vedendo queste lettere, si ha un’idea un po’ astratta di chi le scrive. Se ho fatto bene i calcoli, all’inizio di questo scambio c’erano un uomo di sessantadue anni e una donna di cinquantanove. Entrambi, tra l’altro, avevano superato, proprio nelle loro biografie personali, passaggi molto dolorosi e molto traumatici; condividevano infatti non solo una storia di esilio e di spostamenti vari tra Europa e Stati Uniti, ma anche il fatto di aver perso il coniuge: Chiaromonte, la prima moglie, durante la fuga dalla Francia invasa; Muska il marito poco dopo essere arrivati negli Stati Uniti. A proposito di quest’ultimo mi sembra significativo sottolineare che si trattava di una figura piuttosto particolare, un uomo che non solo arrivava dal Daghestan ed era un pittore piuttosto conosciuto, ma anche un musulmano. Questo per rendere conto di un itinerario e una ricerca, quelli di Muska, che attraversano anche diverse culture religiose e contribuiscono insieme ad altri aspetti a fare di lei, ai miei occhi, un personaggio davvero straordinario.
Tornando al tono di queste lettere, si possono riconoscere alcuni stilemi dell’amore cortese, che vanno dal discorso della "distanza” tra gli ...[continua]
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