Testo di Alessandro Marcucci, con postilla di Gaetano Salvemini
i reprint
Una Città n° 214 / 2014 giugno-luglio-agosto
Articolo di reprint di Alessandro Marcucci, Gaetano Salvemini
La scuola ambulante in Italia
Da "L’Unità”, 20 giugno 1913, una “scuola libera”, in cui i maestri, ma solo quelli più appassionati e volenterosi, fatto salvo un programma di minima, avrebbero insegnato ai giovani ciò che davvero serviva loro, nella più totale autonomia, casomai cose diverse da comune a comune; una scuola all’avanguardia fondata sull'iniziativa privata, ma finanziata in primis dallo Stato che doveva in ogni caso garantire un corretto uso dei fondi rispetto ai programmi stabiliti e alla laicità degli insegnamenti; una scuola in cui i maestri sarebbero stati valutati non in ore, ma in base al numero di ragazzini strappati all’analfabetismo.
Se sulla scorta dell’ultimo censimento nazionale, quello del 1911, volessimo istituire tante scuole quante la popolazione dei vari comuni d’Italia, sparsa e agglomerata, richiede, secondo le prescrizioni delle leggi scolastiche -che ammettono la possibilità e il dovere di istituire una scuola rurale unica mista, là dove possono raccogliersi almeno 40 fanciulli dai 6 ai 12 anni, nel raggio di 2 km dal locale scolastico- dovremmo dire che, grazie a questo massimo sforzo per la diffusione dell’alfabeto, tutti i cittadini italiani potrebbero istruirsi. Ebbene, ai benefici di tanta provvida diffusione di scuole sfuggirebbe un’ingente massa lavoratrice: quella che pratica la emigrazione interna. Quanta sia questa popolazione non possiamo dire se non per la regione da noi percorsa: la Campagna Romana; ma quante altre regioni, specie nella Italia meridionale, specie dove si iniziano i grandi lavori dei porti, degli acquedotti, delle strade ferrate, non chiamano da tutta Italia le umili «opere», cioè la popolazione agricola più misera, quella che nulla possiede e che per la sua grande ignoranza non si è rivolta all’artigianato nelle città?
Nelle vaste pianure della provincia romana, comprendenti l’Agro Romano e l’Agro Pontino, calcoliamo che soltanto nei lavori dei campi e delle altre industrie agricole, siano impiegate oltre 70.000 persone1 venute dai monti del Lazio, dall’Abruzzo (specialmente dalla provincia di Aquila), dalla Campania (specialmente dalla provincia di Caserta), e in minor parte dalla Romagna, dalle Marche e dall’Umbria. Non sono compresi in questo numero i braccianti adibiti ai lavori ferroviari e alla costruzione e alla manutenzione delle opere stradali. In complesso potremmo enunciare la cifra di oltre 90.000 persone, che si muovono dalle montagne e scendono al piano, dove di solito lavorano dai 6 ai 9 mesi dell’anno: dal novembre al luglio. Questi emigranti vengono o in gruppi di persone tutte valide al lavoro, o in famiglie conducenti seco i figliuoletti. Vivono vita miserrima e sono assolutamente ignoranti.
Ad essi la Scuola non giunge.
Il lontano paese d’origine non si cura di loro se non per tassarli -e come! allorché posseggono una cadente casupola o un minuscolo e sassoso campicello; in estate, quando vi ritornano, la scuola è chiusa. I Comuni cui appartengono i territori del piano non li riconoscono per loro cittadini. E quando anche -come fa il Comune di Roma- si determinano ad istituire scuole sparse per la sconfinata pianura, queste difficilmente possono essere frequentate dalle popolazioni nomadi. Primo ostacolo è la distanza dei luoghi di abitazione dei contadini (capanne, casali, vecchie torri) dal locale scolastico, situato per solito nel fabbricato più centrale della tenuta; inoltre le condizioni di lavoro impediscono anche ai piccoli, cioè ai bambini al disotto dei 12 anni, di recarsi alla scuola. La legge sul lavoro delle donne e dei fanciulli non è estesa ai lavori agricoli, cosicché in essi -specie all’epoca dei raccolti- vengono impiegati fanciulli sotto i 12 anni; i quali, superata questa età, escono dall’obbligo scolastico, onde il loro diritto all’analfabetismo vita natural durante2.
La scuola libera
Mentre si attende la doverosa estensione di detta legge, come provvedere all’istruzione di tanta popolazione, la cui ignoranza oppone gravissimo ostacolo alla rigenerazione dell’Agro?
Con la scuola ambulante, retta dai maestri delle scuole regolari dei centri prossimi alle abitazioni dei contadini; scuola da istituirsi comunque, vicinissima alle dimore dei contadini, dimore che cangiano ogni anno secondo le esigenze della lavorazione agricola.
Con la scuola serale, che può raccogliere tutti; bambini e adulti, maschi e femmine, i quali, occupati nei lavori campestri o nelle piccole faccende domestiche, non possono recarsi alla scuola di giorno.
Come si vede, di fronte al fenomeno dell’emigrazione interna, il sistema scolastico vigente dovrebbe essere capovolto, nel senso che non la scuola serale sia l’appendice della diurna, ma questa di quella.
Nel caso nostro, tutte le scuole dovrebbero essere serali con la possibilità di lezioni diurne non appena le condizioni di vita e di lavoro consentano una più duratura e regolare permanenza della popolazione lavoratrice sul fondo.
Su tale concetto, dettato da necessità di cose, sembra superfluo insistere; ma è necessario affermare che le scuole ambulanti per gli emigranti hanno bisogno di un ordinamento didattico adattabile rapidamente alle condizioni di vita e di lavoro delle scolaresche. Gli orari delle lezioni, l’epoca degli esami, debbono informarsi alle vicende del lavoro locale, le lezioni devono impartirsi ogni sera e aver carattere eminentemente pratico, alternate con conferenze e conversazioni cui, s’è possibile, non manchi il sussidio di nitide proiezioni. È bene che alle lezioni siano presenti e partecipino magari anche gli estranei alla scolaresca, padri e madri di alunni. I temi degli esercizi di lingua e i problemi di aritmetica debbono essere specializzati secondo la natura del lavoro locale. Nasce da ciò una differenziazione nei programmi didattici da scuola a scuola, così come differenti e caratteristici per ogni scuola è forza che siano tutti i servizi ad essa inerenti: l’arredamento, a tipo smontabile e trasportabile; il locale scolastico (baracca, tenda, capanna, casale, chiesuola...); il veicolo pel maestro: cavallo, carrettino, treno, tramvia, ecc. Può lo Stato, con tutto il suo complicato meccanismo burocratico, occuparsi con diligenza e sollecitudine ed economia della istituzione e del funzionamento di tali scuole, e seguirle in tutte le loro particolari esigenze?
Può lo Stato gravarsi dell’onere di mantenere, con tutti i loro diritti, gli insegnanti temporanei di tali scuole?
No, certamente.
Iniziative private e intervento statale
E allora l’iniziativa privata deve soccorrere, come va soccorrendo da qualche anno nell’Agro Romano.
Ma l’iniziativa privata che adempie in luogo dello Stato il primo dovere dello Stato stesso, quello cioè della istruzione elementare, non può né deve rimanere abbandonata a se stessa: dallo Stato deve ottenere i mezzi finanziari occorrenti allo scopo e l’autorità necessaria all’efficace svolgimento della opera sua.
I mezzi finanziari, essa può richiederli ai privati e ad altri Enti locali, ma è lo Stato che deve per primo provvederli; lo Stato che risparmia tutte le spese necessarie per l’istruzione elementare a così ingente massa di cittadini, lo Stato è perciò il principale debitore verso tale iniziativa e ne deve essere, di conseguenza, il principale sovventore.
Beninteso, lo Stato -e questo è il punto delicato- deve rigorosamente esigere dalla iniziativa privata le più ampie garanzie circa la buona amministrazione dei fondi concessi e lo svolgimento del programma didattico, il quale deve essere esauriente in rapporto alle necessità della cultura elementare, e prettamente neutrale, al di fuori cioè di tendenze politiche e religiose e di competizioni locali. Ma lo Stato deve conferire a queste scuole ogni efficacia stabilita dalla legge a favore di ogni altra scuola regolare, e cioè: validità degli esami in esse sostenuti; privilegio di occupazione del suolo necessario per la scuola; per modo che il proprietario del fondo o l’assuntore del lavoro, o il caporale assoldatore delle compagnie lavoratrici, non possano -come purtroppo non di rado avviene- ostacolare e impedire con mezzi ora palesi, ora larvati, l’istituzione e il funzionamento della scuola. I Comitati ordinatori e direttivi di dette scuole, in seno ai quali dovrebbero sedere rappresentanti dello Stato e dei maggiori enti sovventori, per la serietà e per la competenza dei componenti darebbero affidamento della buona amministrazione e dell’indirizzo e dell’efficacia didattica della Istituzione.
Tali iniziative private, sebbene poche, non mancano finora in Italia, ma molte altre ne potrebbero sorgere, senza dire del maggiore sviluppo di quelle esistenti. Citiamo: l’Umanitaria di Milano, la quale oltre il mirabile lavoro pro-cultura che va compiendo nell’Italia Settentrionale, potrebbe e dovrebbe estendere l’opera sua nel centro e nel mezzogiorno d’Italia; Le Scuole per i contadini dell’Agro Romano che dalla limitata zona (per quanto bisognosissima di bonifica intellettuale) intorno a Roma, vanno estendendo l’opera loro a tutta la provincia romana; L’Associazione per gli interessi del Mezzogiorno, che con amorose cure svolge la sua azione a favore dell’infanzia nella Calabria; l’istituzione Visconti di Modrone, così benefica nella lotta antimalarica e per l’istruzione, nelle Puglie. A queste potremmo aggiungere altre piccole istituzioni private, locali, indicando nomi e opere di maestri volenterosi che spontaneamente, quasi senza mezzi, hanno istituito scuole ambulanti per pastori, contadini, pescatori, minatori, ecc.
Indichiamo l’opportunità di ravvivare ed estendere la simpatica istituzione, iniziatasi qualche anno fa, delle scuole estive ambulanti per i pastori d’Abruzzo.
Si dia modo alle istituzioni esistenti di allargare sempre più la loro sfera d’azione, si provveda alla formazione di altri comitati, si disciplini e assicuri l’opera diretta dei singoli: ove l’emigrazione interna sottrae migliaia e migliaia di cittadini dall’obbligo scolastico, con danno e vergogna di tutto il Paese, sorgeranno scuole rapide, efficaci ed economiche che colpiranno in breve tempo alla sua radice l’analfabetismo dovuto alla emigrazione interna.
I maestri
Ma grande assegnamento in questa opera deve farsi sullo zelo, sulla abnegazione, sulla capacità degli insegnanti. I quali -e questo possiamo affermarlo dopo vari anni di esperimento- sanno e vogliono impiegare in questa campagna «garibaldina» contro l’analfabetismo, energie e volontà che non sempre possono o sanno manifestare nelle scuole regolari dei grandi centri.
La coscienza della santità del lavoro, il sentimento della responsabilità, il disagio stesso che essi affrontano, la diversità e la povertà dei mezzi cui è necessario ricorrere, rendono loro care queste scuole di avanguardia, a cui danno per certo il massimo del loro sforzo fisico, morale e intellettuale.
In queste scuole vuol esser lasciata loro una certa libertà d’azione nello svolgimento del programma didattico, il quale in alcuni punti varca, in altri non raggiunge quello segnato per le scuole regolari. Così deve quasi del tutto abolirsi l’insegnamento analitico della grammatica e limitarsi al puro necessario l’insegnamento delle nozioni varie; deve essere esteso l’insegnamento dell’aritmetica alle frazioni, alle regole d’interesse, a qualche nozione elementare di contabilità e di geometria per la misurazione delle superfici, dei volumi; come, per evidenti ragioni di utilità, deve allargarsi l’insegnamento dei diritti e doveri nei riguardi delle leggi e degli ordinamenti sociali (competenze dei tribunali, leggi sulla leva militare, sulle imposte, sui traffici, sulla sanità, sulla beneficenza, sulla previdenza, sulle associazioni, ecc.).
A quest’opera faticosa di dissodamento e di preparazione, che i Maestri debbono compiere nelle ore serali, non può rimanere indifferente lo Stato.
Se è vero che senza aumentare il numero dei Maestri, e impiegando le forze di quanti sono validi o volonterosi, si possono istituire centinaia di scuole ambulanti, è anche doveroso che l’opera del Maestro sia riconosciuta dallo Stato.
Essa è quella prestata nei migliori anni della vita, è quella che nel processo di civiltà del popolo, e nella elevazione delle infime masse lavoratrici, produce i frutti più sensibili.
Dato il riconoscimento da parte dello Stato della funzione fondamentale di queste scuole, deve anche riconoscersi l’opera che il Maestro vi presta. Opera, la quale deve essere misurata non tanto dal numero di anni spesi in un lavoro delicato e difficile, quanto dalla quantità, bontà e importanza di esso lavoro.
Perciò gli anni spesi in questo apostolato non debbono andare perduti, considerato anche che il materiale compenso da corrispondersi per ogni lezione è, e deve essere, esiguo; quasi nullo, volendosi che i Maestri di queste scuole ambulanti sian mossi principalmente da un ideale di umanità e di patriottismo e da virtù di sacrificio, virtù non così assente o dimenticata come generalmente si crede e si dice.
Gli anni della scuola ambulante dovrebbero avere effetti legali nei concorsi, per la documentazione dell’opera prestata dall’insegnante, e valere, in totale o parziale misura, agli effetti della pensione, stabilendosi la necessaria quota dei rilasci voluti dalla legge.
Alessandro Marcucci
POSTILLA
Questo scritto fa parte di quella interessante e bella Relazione sulle scuole per i Contadini dell’Agro Romano, di cui abbiamo già riprodotto un largo frammento nel numero 30 maggio dell’Unità.
Le osservazioni del Marcucci ci consentono di ritornare -brevemente, per ora- su una nostra vecchia idea, contro cui molti maestri elementari protestarono allorché la esponemmo per la prima volta, ma che o prima o poi non potrà non essere accolta, come quella che indica la unica soluzione possibile del problema dell’analfabetismo nel suo lato più difficile. La scuola elementare diurna, sufficiente nell’insieme ai bisogni della popolazione cittadina, è quasi del tutto inutile per provvedere alla istruzione della nostra popolazione rurale, marinara o comunque nomade. Affinché l’analfabetismo sia seriamente combattuto in queste zone del nostro popolo, bisogna per gli orari, per i calendari, per i programmi, per i metodi d’insegnamento, lasciare ai maestri la massima libertà d’iniziativa, non solo secondo le diverse regioni, ma secondo i diversi comuni della medesima provincia, e spessissimo secondo le diverse sezioni dello stesso comune. Quel che si deve chiedere al maestro è che conduca il maggior numero possibile di alunni, nel più breve tempo e con la maggiore sicurezza possibile, al possesso di quelle elementari nozioni di cultura che occorrono per l’esame di compimento. La via per raggiungere questo risultato non può essere fissata a priori da nessun regolamento fatto a Roma, ma dev’essere cercata dal maestro. E il maestro, oltre allo stipendio normale, deve avere anche un premio in denaro, per es. 30 lire, per ogni analfabeta che egli riesca a condurre felicemente all’esame di compimento. Inoltre, un determinato numero di alunni, per es. 50, condotti felicemente all’esame di compimento, dovrebbe essere considerato come equivalente a un anno di servizio agli effetti della pensione. Via via che un maestro, in qualunque periodo dell’anno, dichiarasse al Provveditore della provincia di voler presentare agli esami di compimento non meno di dieci o quindici alunni, il Provveditore dovrebbe inviare sul luogo una commissione di ispettori scolastici o di altre persone di sua fiducia ad esaminare i candidati. Per evitare il pericolo di analfabeti fittizi, che girassero di qua e di là, d’accordo con qualche maestro poco scrupoloso, a dar esami e a spillar quattrini all’erario, basterebbe fare obbligo alle Segreterie comunali di prender nota negli atti dello stato civile della dichiarazione di alfabetismo o di analfabetismo fatte nell’ultimo censimento da ciascun cittadino. Agli esami potrebbero presentarsi solo coloro che da un certificato in carta semplice dello stato civile risultassero analfabeti. A esami avvenuti, il Provveditore comunicherebbe alle Segreterie comunali competenti i nomi dei cittadini promossi, e presa nota di questa comunicazione, non sarebbe più possibile a chi fosse una volta promosso, ripetere l’esame e far pagare allo Stato un nuovo premio.
Gaetano Salvemini
(1) Contadini -coltivatori di campi, di orti, di vigne -pastori, tagliatori di boschi, carbonai, pescatori, cacciatori, birocciai, scavatori di fossi, muratori.
(2) Le scuole reggimentali, allorché la legge del 1911, sulla riforma della scuola primaria, avrà piena attuazione, combatteranno in parte l’analfabetismo, specialmente agricolo.
Tratto da "L’Unità”, 20 giugno 1913
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