Nelle riflessioni introduttive al suo lavoro sui Vangeli, lei scrive: “Quattro brevi racconti. Quattro versioni di uno stesso dramma”. Come si arriva alla redazione dei Vangeli?
La formazione di questi testi è il risultato di un processo relativamente lungo che si distingue in due fasi. La prima è orale, perché inizialmente non si è sentita l’esigenza di fissare per iscritto l’insegnamento dell’esperienza di Gesù, né gli eventi della sua vita: i discepoli hanno avvertito come compito prioritario quello di ripetere, di riproporre il suo insegnamento, si sono auto-investiti di un potere carismatico; quindi il problema non era quello di ripetere fedelmente quello che Gesù aveva detto, ma di riproporlo liberamente secondo la propria ispirazione e le esigenze immediate della predicazione. Questo ha comportato che nel corso dei primi decenni dopo la morte di Gesù il bagaglio originario del suo insegnamento si sia arricchito, modificato e infine strutturato in piccole raccolte, che riguardavano anche avvenimenti della sua vita, come gli episodi dei miracoli, degli esorcismi. Probabilmente ha cominciato anche a prendere forma una qualche narrazione della Passione, per quanto all’inizio il problema della Resurrezione non fosse al centro della riflessione teologica; essa veniva data per scontata, un evento creduto. Probabilmente si è dovuto attendere l’insegnamento di Paolo che ha genialmente attribuito significato salvifico alla morte e resurrezione del Cristo.
I Vangeli furono invece scritti in una seconda fase, in cui era emersa l’esigenza di fissare per iscritto il patrimonio tradizionale, prima che sparisse definitivamente; contemporaneamente si era manifestato il bisogno di passare da una missione di tipo carismatico-itinerante, legata ai singoli missionari (i discepoli diretti di Gesù che andavano in giro a portare l’evangelo) a una fase in cui sono prevalse le comunità sedentarie, gruppi di credenti che non sentono la vocazione missionaria, ma vogliono vivere una vita cristianamente ispirata. Quindi le comunità avvertono il bisogno di istruire se stesse, di approfondire la propria fede.
Anche se inizialmente il nucleo di tale fede era relativamente semplice (credere che Gesù Cristo fosse stato inviato da Dio come Messia, che Dio lo avesse resuscitato dai morti, che sarebbe tornato per riscattare l’umanità) occorreva però approfondire il significato di tale credenza e le sue implicazioni per la vita pratica.
Così, mentre Paolo si era “limitato” a formulare una teologia e una cristologia, altre personalità interne alle diverse comunità invece avvertirono l’esigenza di scrivere “una vita” di Gesù, che è una cosa molto diversa. Di per sé la prima poteva bastare, perché alla fine una dottrina religiosa si basa su un pensiero, ma fortunatamente, a partire probabilmente da Marco intorno al ‘70, si è sentita l’esigenza di organizzare le tradizioni e i materiali, orali e scritti, relativi ai detti e agli atti di Gesù in una storia compiuta. Il materiale disponibile al riguardo era molto e vario: bisogna immaginare la redazione dei Vangeli come strettamente collegata a situazioni ambientali, temporali, sociali, tra loro molto diverse. Di qui l’abilità degli evangelisti nel riformulare il patrimonio tradizionale adattandolo alla situazione concreta della propria comunità. Ad esempio, se si confronta il Vangelo di Marco con quello di Matteo, si vede come in quest’ultimo la narrazione è strutturata dai grandi discorsi di Gesù (come quello della montagna) mentre Marco si era limitato ad assemblare soprattutto racconti di atti; probabilmente Matteo ha voluto puntare di più sull’istruzione della comunità, sulla catechesi, dando così vita a discorsi più o meno a tema: il rapporto con la legge antica, le esigenze della vita comunitaria, il giudizio universale, ecc.
Il Vangelo di Giovanni si muove su una tradizione profondamente diversa, nel senso che sono stati raccolti ed elaborati material ...[continua]
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