Massimo Livi Bacci, demografo, insegna presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Firenze, Dipartimento di Statistica. E’ tra gli animatori del sito www.neodemos.it.

Cominciamo dal problema dell’immigrazione. Abbiamo visto che, di nuovo, a fronte di centosettantamila quote ci sono state più di seicentomila domande da parte di persone che, verosimilmente, e questo è pure l’aspetto un po’ farsesco, sono già tutte qua. Ecco, lei come valuta il problema e che previsione fa sul nostro “fabbisogno” di immigrati?
Vediamo un poco di dipanare l’argomento. Io farei una prima osservazione: siamo ancora in una situazione nella quale tutto sommato la politica immigratoria non è su rotaie stabili. Anche se, a onor del vero, dal ‘98 c’è una legge sull’immigrazione, poi cambiata con la Bossi Fini (che sicuramente l’ha peggiorata sotto diversi profili, ma che, tutto sommato, non è uscita dai binari precedenti), stiamo ancora aspettando una nuova revisione della legislazione che permetta di trattare l’immigrazione per quello che è, cioè un fenomeno “normale” e non un’emergenza da affrontare con sanatorie e decreti flussi, che poi in realtà non sono altro che delle semi-sanatorie. Perché è questo quel che è avvenuto negli ultimi tempi e che avviene ormai da una decina di anni.
Questo è il grande problema che abbiamo di fronte. Allora direi che la questione attuale dei decreti flussi e delle centosettantamila quote a fronte delle seicentomila domande era del tutto prevedibile, perché nel tempo lo “stock” si accumula. Essendo relativamente occlusi i canali regolari di ingresso, la via di ingresso maestra negli ultimi vent’anni è stata una immigrazione irregolare, o un’immigrazione regolare che diventa irregolare perché i permessi scadono, eccetera. Era pertanto da attendersi che anche quest’anno, essendo passato più di un anno e mezzo dal precedente decreto flussi, si avesse questo tipo di eccedenza rispetto ai posti effettivi. E anche se non tutte le seicentomila domande saranno effettivamente valide, credo ci sia la volontà da parte del ministero di fare un secondo decreto o di calibrare il numero delle persone da ammettere rispetto alle domande.
Quindi questo è un po’ il quadro. Siamo ancora in una situazione di emergenza. Il disegno di legge delega è ancora ai blocchi di partenza alla Camera e, quand’anche verrà approvato, la legge effettiva che darà i contenuti della delega, tarderà almeno un anno, quindi noi abbiamo un orizzonte forse di un paio di anni in cui non avremo una riforma fondamentale della legge sull’immigrazione.
A questo vorrei aggiungere che senza dubbio le seicentomila domande di oggi e le cinquecentomila e passa di due anni fa dimostrano che c’è una forte domanda che ha motivazioni note. In primis c’è la depressione demografica, per cui, non c’è nemmeno bisogno di dirlo, il nostro è un paese, insieme alla Spagna, dove il calo della popolazione giovane è più forte in Europa, e questo comporta ovviamente una domanda elevata, soprattutto con un’economia dove pesano molto i settori che hanno un forte fabbisogno di mano d’opera. In Italia infatti pesa poco l’high tech e molto l’industria tradizionale, i servizi tradizionali, ecc. Se poi aggiungiamo che le famiglie scontano uno Stato sociale molto debole e che viene in qualche modo sostenuto da questo welfare immigratorio, lo scenario è disegnato. Queste, infatti, sono tutte ragioni che fanno sì che la domanda di immigrazione sia proporzionalmente più elevata che in altri paesi europei.
In più veniamo da cinque anni di stagnazione. Bene o male negli ultimi due anni c’è stata anche una ripresa, che significa aumento della domanda di lavoro e quindi un’altra spinta all’immigrazione.
Detto questo però, io credo anche che un paese moderno si debba porre una domanda fondamentale, cioè se tutta la domanda di lavoro debba essere coperta dall’immigrazione. Mi spiego: è ovvio che le famiglie continueranno a fare ricorso al sostegno di lavoro domestico straniero, se questo è abbondante e a buon mercato, ma ci si domanda anche se la società non debba organizzarsi perché questo fabbisogno sia minore di quello che è. Se questo non avviene, se le famiglie non modernizzano, o non sono indotte a modernizzare, il loro funzionamento, perché non ci sono gli asili nido, perché gli orari di scuola e di lavoro non coincidono e per tutti i mille perché che tutti conosciamo benissimo, continueremo per la via più semplice che è quella di importare ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!