Vorremmo parlare di Einaudi e della sua posizione rispetto a liberalismo e liberismo.
La questione del liberalismo e dei suoi rapporti col liberismo è un argomento che Einaudi affronta lungo tutto il corso della sua vita. Quella di Einaudi è dunque una posizione che evolve in collegamento con l’evoluzione storica. Le sue convinzioni, infatti, nel tempo si trasformano, perché gli stessi problemi che lui affronta si trasformano, cambiano di natura.
Einaudi si forma nell’ambiente torinese di fine secolo, cioè gli anni Novanta dell’Ottocento. Possiamo dire che, coi primi anni del Novecento il suo pensiero raggiunge la maturità: egli è ormai un economista, o meglio, in senso lato, un uomo di pensiero.
L’evoluzione successiva può essere separata in due grandi momenti. C’è una prima fase che va fino alla Prima guerra mondiale -il periodo giolittiano- che vede un Einaudi liberale in senso tradizionale in cui il liberalismo si identifica grosso modo con una posizione liberista. Abbiamo poi il periodo che inizia nella metà degli anni Venti, in cui egli viene molto influenzato dalle vicende politiche di quel periodo, il delitto Matteotti in primis. In quel momento inizia una riflessione che attraversa la seconda metà degli anni Venti e gran parte degli anni Trenta. Direi che è questo il periodo nel quale Einaudi affronta il problema di che cosa sia il liberalismo all’indomani delle crisi che hanno distrutto l’ordine liberale. La Prima guerra mondiale è infatti vista dai grandi pensatori liberali come il momento in cui viene distrutto l’ordine liberale pre-esistente, a livello politico ed economico.
L’interrogativo di Einaudi, in un certo senso, diventa: "È ancora possibile immaginare una posizione liberale, e quali sono le caratteristiche di una posizione liberale?”. In un dibattito a volte reale, a volte immaginario, Einaudi discute con tre soggetti. C’è intanto il gruppo torinese; Einaudi è il leader o il "primus inter pares” nella scuola torinese di economia. Qui il rapporto è essenzialmente con Attilio Cabiati, una figura purtroppo largamente dimenticata, ma assolutamente importante in quel periodo, un economista di indubbio valore. Il secondo interlocutore è Croce, con cui c’è un lungo dibattito che parte proprio dal finire degli anni Venti e durerà fino agli anni della Seconda guerra mondiale sul tema, appunto, del "liberismo e liberalismo”. I principali interventi di questo dibattito, dall’una e dall’altra parte, sono stati recentemente pubblicati in un volumetto del "Corriere”. La terza figura è John Maynard Keynes, il grande economista inglese, con cui il dibattito, se inizialmente è reale attraverso la corrispondenza, diventa poi immaginario, attraverso recensioni e saggi. Sul tema specifico, ricordiamo che Keynes nel ’25 pronuncia un famoso discorso che poi diventerà un saggio, il cui titolo è "Am I a Liberal?” (Sono un liberale?), in cui pone il problema appunto di cosa sia il liberalismo in quel periodo, e l’anno successivo scrive il saggio "The end of laissez-faire”, a cui Einaudi replica con una lunga recensione.
Oggi si tende a vedere Einaudi come l’esponente di un liberalismo classico a fronte di un Keynes "interventista”.
Credo sia una contrapposizione semplicistica e sostanzialmente sbagliata, perché, pur essendoci diversi e importanti punti di divergenza, ci sono anche molti punti di contatto tra i due.
Partiamo dal fatto che l’ambito in cui avviene la loro riflessione è comune: quello della grande crisi tra le due guerre mondiali, con i suoi rivolgimenti economici e politici. Se era stata la fine dell’ordine liberale a portare a quella situazione, cosa poteva essere allora il liberalismo? Poteva essere riproposto, in quale forma? Questo è il dibattito che coinvolge Ei ...[continua]
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