Philip Golub insegna Politiche Internazionali e Comparate all’American University di Parigi; collabora con Le Monde Diplomatique. Vive a Parigi.

Per capire quello che è successo a Parigi, tu sostieni che non basta guardare alla Francia, occorre guardare anche al Medio Oriente.
Io vedo un’interazione tra due fenomeni. Il primo, situato particolarmente nel Vicino e Medio Oriente. E cioè, un processo di crollo degli stati, di quegli stati-nazione post-coloniali rimasti unitari durante il periodo post-coloniale e la Guerra fredda grazie a regimi autoritari che però nei decenni successivi hanno cominciato a mostrare le prime crepe e segni di indebolimento, a causa di pressioni interne che, come abbiamo visto negli ultimi anni, non erano più contenibili. Pressioni sociali e politiche da parte di popolazioni rimaste in silenzio per un lungo periodo di tempo, assieme a istanze economiche di rivendicazione di una distribuzione più equa delle ricchezze. Questo è vero non solo per Siria e Iraq, ma anche per Egitto, Tunisia e altri paesi del mondo arabo. Accanto a tutto questo c’era anche una domanda di rappresentazione da parte di differenti gruppi etnici e confessionali. Questi stati post-coloniali erano stati costruiti sulla base dei confini istituiti dalle potenze coloniali, che vi avevano incorporato popoli diversi, come nel caso degli sciiti e dei sunniti in Iraq, o degli alawiti, sunniti, e sciiti in Siria; in ogni caso si trattava di regimi non rappresentativi e autoritari, come quello di Saddam Hussein e di Assad. Questi processi interni al mondo arabo sono esplosi durante le cosiddette "primavere arabe”, il cui esito purtroppo non è stato quello auspicato.
Cos’è accaduto? Nel corso della Guerra fredda, le potenze occidentali, in particolare Stati Uniti ed Europa, hanno sostenuto da un lato i regimi autoritari e dall’altro hanno appoggiato, o almeno tollerato le organizzazioni religiose islamiche, i Fratelli Musulmani, considerandole alleate in chiave anticomunista. Così, lo spazio per le forze laiche, fossero socialiste o semplicemente liberal, in tutto il mondo arabo è stato fortemente compresso. Possiamo anzi dire che quello spazio è scomparso. Quand’anche presenti, queste forze progressiste erano infatti del tutto marginali rispetto alle forze islamiste, fossero estremiste o meno; pertanto in queste società l’unica opposizione significativa e capace di avere un seguito era quella islamista. Tra queste alcune erano estremiste, penso ai salafiti, influenzati in modo significativo dal wahabismo saudita o, appunto, ai Fratelli musulmani d’Egitto o, ancora, all’Isis in Iraq e Siria. Pur con le loro diverse agende e obiettivi ideologici, erano queste le sole forze ad avere un influsso ideale sulla società, le uniche ad avere reti sociali. Abbiamo parlato del Vicino e Medio Oriente.
Ora però questo fenomeno si è trasformato in un problema di carattere internazionale. I fattori di trasmissione sono quelli noti: l’immigrazione da paesi post-coloniali verso l’Europa (più che verso gli Stati Uniti). Quando parlo di una popolazione post-coloniale musulmana, io tendo a includervi anche le seconde e le terze generazioni, perché non sono mai state pienamente integrate nelle strutture socio-politiche ed economiche dei paesi in cui sono nate. La prima generazione era arrivata in Francia o in Inghilterra in cerca di lavoro; in Inghilterra perlopiù dal Pakistan e da altre parti dell’impero britannico, mentre in Francia dall’impero coloniale francese, principalmente dall’Africa sub-sahariana e dal Nordafrica; la primissima popolazione migrante era venuta al seguito di un movimento di tipo economico, nel secondo Dopoguerra, per ricostruire l’Europa, e, se non politicamente o ideologicamente, si era comunque integrata nell’apparato produttivo. In Francia, tipicamente, erano operai che lavoravano nell’industria automobilistica e in altri settori industriali, lavori che negli ultimi trent’anni hanno assistito a un forte declino. I loro figli e le loro figlie non hanno avuto opportunità economiche, sociali, politiche, non si sono integrati nel tessuto sociale come cittadini veri e propri. Avevano sì diritti formali, il diritto formale di votare, di esprimersi democraticamente, ma beneficiavano ben poco dei diritti sostanziali della democrazia sociale, diciamo così. Sono diventate le minoranze visibili. Col tempo c’è stato un processo di segregazione spaziale e sociale. Sociale, perché erano tagliati fuori -n ...[continua]

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