Anna Lona, maestra elementare, insegna a Verona. 

Vorremo parlare con te della crisi della scuola pubblica.
Nella mia vita professionale io sono praticamente arrivata alla fine, pertanto questo è anche un po’ un momento di bilanci, nel senso che ti chiedi cosa rimane, non tanto di te, ma del contesto all’interno del quale hai cercato di mettere a frutto le cose che più ti convincevano. Preciso subito che in queste mie riflessioni non ci sono elementi nostalgici, non penso cioè che la soluzione stia nel ritorno a un eden mitologico. 
Devo dire che il dato che mi preoccupa, a fronte di un cambiamento epocale, della difficoltà in cui versano tutte le istituzioni, è questa incapacità di farsi carico, collettivamente, delle nuove sfide.
In questi ultimi anni abbiamo assistito a una progressivo incremento di una serie di proposte alternative alla scuola pubblica, che hanno le loro ragioni, vuoi la scuola nel bosco piuttosto che gli steineriani piuttosto che l’homeschooling, l’educazione parentale; tra tutte queste, da qualche anno a questa parte, il ritorno alla Montessori è diventata una sorta di must. 
Io ho riscoperto questa pedagoga nel 2012, quando la rivista "Wired” ha pubblicato un lungo dossier con interviste ai grandi del digitale, il fondatore di Amazon, Google eccetera. Tutti questi riconoscevano nell’aver frequentato la scuola Montessori uno dei fatti rilevanti per il loro successo imprenditoriale. 
Quello che mi ha dato da pensare in questi ultimi anni, è che nel giro di poco tempo siamo passati da una situazione in cui il pensiero di questa pedagogista era ignorato (forse anche perché era una donna) al vederla come l’incarnazione di un’idea di scuola alternativa al modello pubblico, che evidentemente è in crisi.
Ora, come si è arrivati a questo? E cosa ci segnala? Io me lo sono chiesta. 
Intanto c’è stata la vicenda del royal baby: il fatto che i principini inglesi siano stati mandati nelle scuole montessoriane ha creato nella gente l’idea che questa fosse l’opzione vincente. Ma poi ad avere un impatto è stato sicuramente anche il mercato. Qualcuno ha pensato di fare di questa pedagogia un business. Questo metodo infatti presuppone l’utilizzo di arredi e materiali specifici che puoi costruirti da solo seguendo dei protocolli, altrimenti devi rivolgerti a ditte fornite di bollino di qualità. 
Qualche mese fa il "Corriere della Sera” ha pubblicato dei fascicoli con il metodo Montessori; il supermercato Esselunga con i punti per la scuola propone l’acquisto di libretti con il metodo Montessori. Insomma c’è tutta un’offerta di questi "prodotti”. Se giri in rete, nei siti delle mamme, trovi di tutto e di più: "i primi materiali Montessori”, "i miei secondi materiali...”. Ripeto, è un brand: qualsiasi cosa tu oggi proponga con questo marchio, vende. 
Tu sei preoccupata soprattutto del fatto che davanti a una crisi epocale e che riguarda tutti, anche a sinistra ci si lasci tentare dalla scorciatoia della soluzione individuale.
Io ovviamente qui non parlo della validità del metodo. Certo mi preoccupa il fatto che allestire una sezione Montessori ha un costo che nessuna scuola pubblica può sostenere da sola. Se non ti affidi all’autoproduzione, una sede Montessori, tra arredi e materiali, costa sui diecimila euro. 
Considera che, nella scuola pubblica, abbiamo circa quattro euro a bambino all’anno di spese per i materiali. Insomma, ammesso e non concesso che questa sia la soluzione su cui investire, è evidente che non può essere un modello proponibile per tutti. 
Perché allora questo approccio seduce tanto i genitori? Io credo sia dovuto proprio al fatto che siamo in una fase di grande cambiamento. Stiamo lasciando le vecchie certezze, ma non ne abbiamo di nuove. Siamo un po’ su un piano inclinato e siccome è faticoso stare in una condizione di disorientamento, questo metodo, così come altri, rappresenta un punto saldo. Oltretutto, nonostante il metodo abbia ormai novant’anni, viene presentato come una cosa nuova, innovativa.
Mi dà da pensare anche il fatto che la Montessori diventi un punto di riferimento anche per persone che derivano da un’altra cultura. Negli anni Settanta, nella riflessione sul tempo pieno, le didattiche alternative, ecc., avevamo altri punti di riferimento, che erano La Nuova Italia con il gruppo di "Scuola e città”, Visalberghi, De Bartolomeis, il gruppo di pedagogisti di estrazione marxista con Bruno Ciari, ecc. Ne ho discusso qualche t ...[continua]

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