Questo libro è la continuazione “sul campo” dell’altro, Il trionfo della moltitudine, di cui abbiamo già parlato su queste pagine. Il problema era, venuta meno la centralità della fabbrica e della classe operaia, l’angoscia di un soggetto senza più relazioni sociali certe, forti. Il termine “moltitudine” indicava, appunto, questo apparentemente indistinto amalgama di lavoratori in crisi di identità...
Premetto che le mie ricerche sono incentrate nel Nord del paese, la parte del paese maggiormente interessata da processi di produzione competitivi e caratterizzati da una forte globalizzazione.
Credo che riuscire a discernere, in questa moltitudine di produttori, l’affermarsi di una nuova composizione sociale sia la grande questione aperta per la politica, per la cultura, per le istituzioni. Sono anche convinto sia opportuno scomporre quella che sembra una moltitudine indistinta, perché l’esistenza di un magmatico “popolo dei produttori”, dove tutti sono uguali e tenuti assieme dall’identità territoriale ed etnica, dove il conflitto fra chi governa e chi è governato, tra chi ha e chi non ha, non esisterebbe più, è il grande argomento di Bossi. Nella mia ricerca cerco di sfatare l’idea che la molecolarità significhi più libertà e più uguaglianza. Il fatto che ci siano 67 imprese ogni mille abitanti e con non più di 5 addetti a testa, che è un dato veramente impressionante, in realtà non esclude la selettività, tutt’altro.
Allora, che cos’è questa nuova composizione sociale che emerge? Questa nuova composizione sociale è costituita innanzitutto dai lavoratori salariati che sono ancora dentro le mura della grande fabbrica ristrutturata che fa world production -e da questo punto di vista il laboratorio emblematico è Torino- e da quelli delle medie imprese leadership del capitalismo molecolare. Ma è formata anche dai lavoratori che stanno fuori dai luoghi tradizionali, che spesso svolgono un lavoro autonomo nel ciclo della subfornitura o della comunicazione. Se si guarda alla Fiat e al territorio che la circonda -ma questo vale anche per l’Esaote a Genova, per la Riello a Padova, come per l’Aprilia nel Nordest, o per la Ferrero ad Alba- e si paragona chi è dentro le mura con chi sta fuori, ci si accorgerà che la delimitazione non è più così netta. Ai lavoratori salariati si chiede sempre più di sentirsi quasi dei lavoratori autonomi, identificandosi con l’azienda, con i processi produttivi di qualità, con le nuove tecnologie, con l’innovazione. Mentre a chi sta fuori e fa un lavoro autonomo si chiede, nei fatti, di comportarsi come lavoratori salariati. Pensiamo, ad esempio, a tutti quelli che lavorano nelle cooperative che forniscono gli operai stagionali alla Ferrero, o all’Aprilia che, spesso, sono contemporaneamente soci di cooperative e lavoratori salariati. Oppure pensiamo ai lavoratori autonomi di seconda generazione, ossia a quelli che, ad esempio, stanno dentro il ciclo dello spostamento degli impianti, della robotizzazione degli impianti nel ciclo Fiat. Questi si spostano in Germania, in Ungheria, in Polonia, in Argentina, sono i cosiddetti “legionari” sempre con la valigetta in mano. Ma prendiamo anche un gruppo mondializzato come il gruppo Radici della Val Brembana. Che tipo di lavoratori sono quelli che partono dalle vallate della Bergamasca per andare a formare i cinesi o gli argentini o i tunisini all’uso del telaio meccano-tessile, preparando quei quadri che sono poi la vera forza produttiva nella mondializzazione di un’impresa come il gruppo Radici? Quello che parte e assieme al telaio porta anche la formazione e l’accompagnamento dei quadri, è un legionario, ma al contempo è un lavoratore autonomo.
Questo per quanto riguarda il ciclo della fabbrica, perché poi andrebbe analizzato anche il tessuto di base del capitalismo molecolare, quel tessuto produttivo di molecole che sta attorno alla grande impresa mondializzata. Parlo del ciclo della subfornitura nelle sue diverse gradazioni.
Un’ulteriore fascia di lavoratori si trova nel ciclo della consulenza al capitalismo della conoscenza, dell’informazione, della comunicazione. Anche questi credono di essere lavoratori autonomi, perché hanno la loro partita Iva e pensano, solo per questo, di determinare il proprio tempo. In realtà, se si guarda ...[continua]
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