Ilan Pappe fa parte del gruppo di studiosi israeliani nati dopo la proclamazione dello Stato di Israele, i cosiddetti “Nuovi storici”, che hanno riscritto le vicende della guerra d’Indipendenza israeliana sulla base della documentazione resa accessibile allo scadere dei trent’anni dalla nascita dello Stato. La sua ricerca si estende anche alla documentazione e alle testimonianze di parte avversa. Seguace della storiografia anglosassone, ha conseguito il dottorato in Storia all’Università di Oxford. E’ professore associato di Storia del Medio Oriente alla facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Haifa. Tra le sue pubblicazioni, ricordiamo The Making of the Arab-Israeli Conflict, 1947-1951 (1994) e Israel/Palestine Question. Rewriting Histories (1999).

Tu sostieni che dopo un iniziale interesse, e promozione, per il lavoro di ricerca dei cosiddetti “nuovi storici”, oggi in Israele si assiste a un’inversione di tendenza. Puoi spiegare?
Negli anni ’90, la “nuova storia”, con la sua versione di quanto accaduto nel ’48, ma non solo, sembrava essere penetrata nella rappresentazione israeliana del passato: era stata adottata nei libri per le scuole superiori, era entrata nella tv, nei documentari, nei film, nel teatro, e infine nell’università. Insomma, un certo settore della società israeliana aveva assunto alcuni degli elementi di base di quanto i nuovi storici andavano raccontando.
Ebbene, tutto questo è stato vero solo fino al 2000, fino all’esplosione della seconda Intifada. Dalla seconda Intifada comincia un nuovo processo. Non so in che direzione ci porterà, dato che ancora ci troviamo nel mezzo, o meglio all’inizio, di esso.
Quello che sicuramente si può dire è che, in questa inversione di tendenza, i cambiamenti sono stati fortemente avversati innanzitutto dall’establishment. Darò un esempio. Negli anni ’90 i ministri dell’Educazione, Shulamit Aloni e poi Jossi Sarid, avevano permesso l’adozione di libri di testo che includevano riferimenti all’espulsione dei palestinesi nel ’48; ecco, nel 2000 alcuni di questi libri sono stati ritirati. Allo stesso modo, mentre nel 1998 alla tv israeliana potevi vedere documentari e film che assumevano un racconto del 1948 in cui era avvenuta un’espulsione dei palestinesi, e in cui Israele era in parte responsabile di quanto accaduto, dall’ottobre 2000 la tv israeliana somiglia più alla Pravda: non c’è più criticismo, e definitivamente non sono più ammesse letture storiche alternative. Somiglia tutto al Jerusalem Post!
Allora, lo ripeto, siamo ancora in una fase incerta; è molto difficile immaginare cosa risponderemo se, diciamo tra 50 anni, ci chiederemo che influenza avrà avuto la nuova storia. E’ ancora troppo presto.
In generale, io vedo due possibilità. Una è che la nuova storia, e in generale il fenomeno del post-sionismo, venga considerato un breve capitolo nella vita culturale e intellettuale di Israele: per 10 anni, alcuni accademici israeliani, registi di film, di opere teatrali, autori, romanzieri, gente che produce cultura, hanno cercato di guardare in modo diverso, critico, a Israele, nel passato e nel presente. Ci hanno provato. Tuttavia la società, e il sistema politico in particolare, non hanno apprezzato e così il capitolo è stato chiuso.
Un altro possibile scenario ipotizza che noi oggi viviamo un periodo di regressione, da cui però potremmo uscire tornando proprio alle posizioni che il post-sionismo, la nuova storia avevano adottato. E così il progetto continuerà. E’ possibile anche questo. Tuttavia alla fine di questo 2002, ho l’impressione che la maggior parte degli effetti siano già rientrati.
Comunque questa inversione di tendenza resta sorprendente…
Io non sono affatto sorpreso. Credo che se si guarda al progetto politico del sionismo, ciò che abbiamo oggi è una conseguenza assolutamente normale.
Quello che avevamo negli anni ’90, una società pluralista e democratica; ecco, quello non era normale. Ma quello che abbiamo oggi è una società di ebrei che vogliono portare a termine il progetto colonialista, che vogliono la Palestina per sé, senza i palestinesi. E’ questo l’obiettivo e la ragione principale del progetto sionista; non puoi avere la realizzazione del sionismo con una larga minoranza palestinese; non puoi averlo con l’occupazione. Il sionismo si realizza solo se la terra viene svuotata dei palestinesi, o al massimo se resta un numero di palestinesi del tutto irrilevante.
E si badi, questo non è il proposit ...[continua]

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