sono seduta alla mia scrivania -con una tenda che cela le parti peggiori del mio giardino delinquente- e provo a immaginare come si sentirà la Gran Bretagna venerdì 9 giugno, il giorno dopo le elezioni politiche. Scrivo queste parole perché le ultime tre settimane sono state una giostra di emozioni. Sarà un luogo comune, ma è andata così. La logica è stata spedita dietro la lavagna e ogni contegno è stato proibito. La Brexit ha portato a un accumulo di emozioni. La nostra scelta al referendum è ora diventata identità politica e personale e, con essa, una serie di emozioni ben definite: rabbia, sconforto e pessimismo non sono spariti; dolore, ansia per il futuro, senso di impotenza, di frustrazione; vergogna per il fatto che Theresa May non ha firmato con gli altri capi di Stato europei la lettera che invita Trump a rientrare nell’accordo di Parigi. D’altro canto, molti di coloro che hanno votato per l’uscita considerano gli anti-Brexit dei codardi privi della grinta necessaria per fare da sé, e sono arrabbiati e sulla difensiva. Il voto è fondato sulle emozioni. Tuttavia, come in tutti i miti che si rispettino, in fondo al vaso di Pandora della Brexit e delle elezioni politiche c’è speranza: la speranza che, alla fine, andrà tutto bene.
Speranza, perché durante queste ultime tre orribili settimane, quando i terroristi hanno assassinato bambini e ragazzini a Manchester e ucciso persone che non facevano altro che godersi una notte estiva a Londra, abbiamo capito che ci sono stati il coraggio dei servizi di emergenza, della polizia, dei dottori e la bontà della gente comune di cui andare fieri. È una Gran Bretagna che esiste ancora; è solo che ogni tanto si dimentica di se stessa. Niente dona più speranza della bontà d’animo di uno sconosciuto, ovunque ci si trovi nel mondo.
Un’altra forma di speranza è quella che è stata portata alla luce da Grayson Perry. Grayson Perry è un personaggio impossibile da descrivere: artista insignito del premio Turner, ceramista anticonvenzionale, saggio signore del caos e travestito, ha tenuto per l’emittente Bbc Radio la miglior lezione della serie "Reith Lectures” a cui io abbia mai assistito.
Di recente ha realizzato "Divided Britain” ("La Gran Bretagna divisa”), un documentario per l’emittente televisiva Channel 4 in cui ha creato un’opera d’arte effettuando ricerche in due diverse località: Boston, cittadina nel Lincolnshire con il più alto numero di voti a favore dell’uscita (e, ironicamente, un’industria agricola sorretta dalla manodopera dei migranti), e Stoke Newington, quartiere di Londra con il più alto numero di voti a sfavore (e di feste fino alle sette del mattino, di forte diversità e input culturali). È una televisione fatta bene, anche perché quest’uomo ha competenze relazionali di primissimo ordine. Ha trascorso del tempo in entrambe le località, invitando i votanti pro e contro a spedire delle foto di se stessi e immagini che descrivessero la Gran Bretagna che hanno a cuore. Con questo materiale ha prodotto due vasi di ceramica, uno per coloro a favore e uno per coloro a sfavore, che sono l’uno il riflesso dell’altro: fotografie di un giorno qualsiasi, immagini di un’Inghilterra condivisa. Le cose che abbiamo in comune sono più di quelle che ci dividono, è stata la sua conclusione.
Proprio il mantra di Jo Cox, la deputata laburista assassinata il 15 di giugno, nella sua circoscrizione elettorale di Batley e Spen, per la sua apertura mentale, il suo supporto nei confronti dell’Europa e le sue mani tese agli altri. Mentre state leggendo questa lettera, da una parte all’altra del paese si terranno in suo onore ricevimenti all’aperto, feste comunitarie e di strada: provocatorie celebrazioni di tutto ciò per cui Jo Cox si batteva, inviti a non dimenticare la nostra umanità condivisa. Gente comune che festeggia la bontà verso il prossimo: il meglio di noi.
Ma in cosa possono sperare i nostri giovani? Nelle scuole? La scorsa settimana ho parlato a un’amministratrice esausta e stressata: lavorava 22 ore a settimana, ma al momento che una sua collega era appena stata lasciata a casa per esubero, si era ritrovata a dover svolgere anche il suo lavoro, nonché -sferzata finale- tre ore aggiuntive. Era esasperata e frustrata. Come avrebbe fatto? Eppure succede in tutte le scuole del paese. I bilanci scolastici vengono colpiti duramente; non sono soltanto le amministrazioni a dover lavorare con regole che sembrano provenire da "oltre lo ...[continua]
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