Nel 1945 nacque nostra figlia Vera.
Vera aveva appena compiuto quattro settimane quando ebbi le prime notizie, prima dalla Croce Rossa e poi dal ministero degli esteri britannico. Nessuno nelle numerose famiglie di emigranti ebrei aveva ancora avuto notizie. Fui la prima.
Una prima lettera smentiva che un certo Alfred Lewin fosse stato rinchiuso in un lager in Olanda; una seconda mi diceva della morte in Italia di mia madre e di mio fratello. Non riuscii a sapere altro.
Non credo sarei riuscita a sopravvivere a quella notizia se non avessi avuto la mia bambina da stringere fra le mie braccia. La sua esistenza fu così determinante che mi sono sentita sempre in debito verso di lei.
... Sono passati 56 anni e in tutti questi anni mi ha sempre tormentato l’idea di non sapere come fossero finiti i miei. Pensavo che i loro corpi fossero stati sotterrati chissà dove.
Quando altri portavano fiori sulle tombe dei loro cari, dicevo sempre: "Voi almeno potete farlo, io non saprei dove portarli”. Per cui il fatto di poter essere qui è come un sollievo”. E’ una storia che si chiude. Adesso posso pensare più serenamente alla loro morte. Quindi sono estremamente grata a chi ha reso possibile che io fossi qui. (Lissi Lewin Pressl, dall’intervista a "Una città”)

Lissi Lewin, giovane ebrea tedesca, militante del Bund deutsch-judischer Jugend, l’Associazione giovanile ebraica berlinese, e il fratello Alfred, nel 1936, dopo un’aggressione di una squadra di nazisti, con la madre Jenny fuggirono dalla Germania e ripararono in Italia. Alfred, appassionato e portato allo studio delle lingue, si preoccupò che la sorella Lissi ne imparasse. Al sopraggiungere delle leggi razziali si prodigò per convincere la sorella a riparare in Inghilterra. Lissi partì nel 1939 e raggiunse Manchester. Nel ’40 Alfred fu fermato e mandato al confino nell’Italia del Sud. Nel ’42 fece richiesta di essere avvicinato alla madre, rimasta al nord, ormai indigente e assai ammalata. Chiese cioè di andare nella direzione sbagliata (molti degli ebrei rinchiusi nei campi del sud si salveranno).
Riunitosi alla madre in un campo di confino del pesarese, furono entrambi incarcerati nel ’44 a Forlì. Nel settembre del ’44 furono fucilati da fascisti italiani e SS tedesche, insieme ad altri sedici ebrei ed ebree, a pochi giorni dallo spostamento del fronte. Nel novembre Forlì fu liberata. Le salme, gettate in un cratere di bomba, furono riesumate nel ’46 e sistemate nel cimitero monumentale in loculi appartati e anonimi. Solo nel ’94, grazie all’impegno di alcuni cittadini, trovarono degna sepoltura e la città di Forlì ricordò finalmente la strage. Lissi, che prima della fine della guerra aveva sposato a Manchester un antifascista tedesco e dato alla luce una figlia, malgrado tutte le ricerche, non riuscì a sapere nulla di preciso; tornata a vivere nella Germania, quella dell’Est, solo nel 2000 conoscerà il luogo e le modalità della scomparsa del fratello e della madre. Nel frattempo, dopo la caduta del Muro, viaggiare per l’Europa era di nuovo possibile e dopo 56 anni dal giorno del distacco dalla madre e dal fratello Lissi potè visitare la loro tomba. Nel 2002 Lissi Lewin ha dato il suo consenso alla costituzione della fondazione Alfred Lewin, di cui è stata Presidente fino al giorno della sua morte, avvenuta a Berlino il 25 settembre 2009.

Cimitero di Berlino Pancow