Amici lettori, lo scrivere questo piccolo foglio settimanale è divenuto un lavoro intollerabile, di mano in mano che le fasi di questa immensa tragedia si sono andate sviluppando.
Scrivere di altro che della guerra, sarebbe ridicolo e impossibile. I nostri pensieri sono tutti concentrati, come ipnotizzati, su questo fatto.
Non è solo una stupida e crudele curiosità di spettatori sfaccendati. Noi sentiamo che tutta la nostra azione futura di cittadini e di privati dovrà orientarsi diversamente, secondo i diversi risultati di questa grande crisi. Più che a una guerra fra nazioni, noi assistiamo a una mondiale guerra civile. In essa sono impegnati non solamente i singoli popoli ma anche le classi sociali e i partiti politici di ciascun popolo, con tutti i loro interessi, con tutti i loro ideali; e non dei soli popoli belligeranti, ma anche di coloro che riusciranno a rimaner neutrali.
Noi sentiamo che la vittoria austro-tedesca non solo consoliderebbe il regime dinastico e feudale nei paesi vincitori, e vi soffocherebbe per lunghi anni ogni movimento democratico, ma dissiperebbe anche nei paesi vinti e neutrali qualunque tradizione di libertà civile. Effetti diametralmente opposti avrebbe la vittoria del sistema inglese: e li avrebbe nella stessa Russia dispotica, la quale si vedrebbe sorger contro, creata dalle sue stesse mani, la nuova democrazia germanica.
Quale fra i problemi della nostra vita nazionale non sarà condizionato dai risultati di questa lotta? Prendiamo, per esempio, la questione doganale. Una Inghilterra vittoriosa imporrà certamente il libero scambio alla Germania, e ne conseguirà un trionfo della libertà commerciale in tutta Europa. Una Germania vittoriosa imporrà con la forza ai vinti e ai neutrali un sistema di trattati doganali, in cui la preoccupazione della potenza economica tedesca farà tacere ogni altro interesse, ogni altra voce. A che parlare, dunque, in questi giorni di una questione doganale italiana, di un protezionismo italiano, di siderurgici e zuccherieri italiani, di agricoltori e consumatori italiani? Queste discussioni avevano importanza e interesse nel vecchio equilibrio mondiale; non hanno più significato in questi giorni di transizione, in cui ci sono ancora ignoti i fattori del futuro equilibrio.
Finché la guerra non sia finita, è vano occuparsi d’altro che della guerra. E non a torto il pubblico si rifiuta di badare ad altro, e obbliga i giornali a non parlare di altro.
Ma per un piccolo foglio di cultura qual è il nostro, il quale non può riempirsi di brute notizie immediate e di commenti più o meno cervellotici, che il vento di un’ora porta via, per noi il parlare di quello, di cui tutti parlano, è impossibile.
Le cause profonde e lontane della attuale crisi, noi le abbiamo già affermate, spiegate, illustrate in mille modi: per tre anni abbiamo detto sempre le stesse cose, finché il dirle poteva preparare lo spirito dei nostri lettori a comprendere la imminente crisi: oggi le cose parlano così chiaro che ogni nostro commento sarebbe superfluo. Su questo soggetto non abbiamo assolutamente più nulla da dire.
Dovremmo ripetere in ogni numero, con maniaca monotonia, i nostri desideri, le nostre preferenze, i nostri auguri? - Sarebbe un passatempo troppo sciocco per meritare di essere continuato fino alla fine di una lotta che potrebbe durare anche degli anni.
Oppure dovremmo settimana per settimana tirar l’oroscopo, fare i riassunti delle situazioni, contare i morti e i feriti, dare i bollettini delle nostre speranze e delle nostre disperazioni? Quest’almanaccare da sfaccendati sui margini di un così mostruoso torrente di sangue, questo contare i colpi dati e ricevuti quasi che fossimo a uno spettacolo di boxe o di tennis, ci sembrerebbe un ignobile esercizio di immoralità.
Motivo per cui, amici lettori, siamo venuti, dopo lungo esitare, nella opinione che questo non è tempo di scrivere, ma di tacere. E sospendiamo la pubblicazione del giornale.
Noi sentiamo il bisogno, sentiamo il dovere di raccoglierci nel silenzio per poter seguire i fatti con la calma di chi non è obbligato a spifferar settimana per settimana una sua opinione sulla "attualità” del momento. Sentiamo il bisogno, sentiamo il dovere di riesaminare i nostri antichi schemi intellettuali e morali, per vedere quanti di essi resistono all’urto della sanguinosa realtà, quanti devono perire nel naufragio del vecchio mondo, che ci vide nascere e ci nutrì delle sue idee.
Quando la tempesta sarà finita. Quando il cielo sopra il nostro capo e le dolorose profondità del nostro spirito si saranno rischiarate, e potremo vedere con sicurezza a che punto saremo arrivati, quali saranno le necessità e le opportunità del nuovo cammino; allora riprenderemo il lavoro, richiamando a raccolta i vecchi amici.
Per ora sentiamo l’obbligo di tacere, perché proprio, in coscienza, non abbiamo niente da dire, che valga la pena di esser detto e che non sia letteratura miserabile e vile.
Tratto da "L’Unità”, n. 36, 4 settembre 1914.
Le pubblicazioni sarebbero riprese nel dicembre dello stesso anno.
Per il “reprint” pubblichiamo l’editoriale uscito su “L’Unità” nel settembre del 1914.
i reprint
Una Città n° 211 / 2014 marzo
Articolo di reprint di Gaetano Salvemini
Non abbiamo niente da dire
“Amici lettori, lo scrivere questo piccolo foglio settimanale è divenuto un lavoro intollerabile, di mano in mano che le fasi di questa immensa tragedia si sono andate sviluppando”; per il “reprint” pubblichiamo l’editoriale uscito su “L’Unità” nel settembre del 1914.
Archivio
Unità federale - La decadenza dei parlamenti e il rimedio istituzionale
Una Città n° 299 / 2024 febbraio
L’assenteismo dei deputati dalla Camera ha prodotto una recrudescenza di accuse contro il Parlamento italiano.
I più accaniti denigratori non hanno tenuto alcun conto di una circostanza che pure ha il suo valore quando si vogliono emettere e...
Leggi di più
Il voto alle donne: polemica in famiglia
Una Città n° 274 / 2021 aprile
Nel 1910 all’interno del partito socialista si apre un dibattito attorno al tema del suffragio universale maschile. Al centro di quella che diventerà anche una «polemica in famiglia» tra Anna Kuliscioff e Filippo Turati, la domand...
Leggi di più
Vita, e non più solo esistenza
Una Città n° 268 / 2020 luglio-agosto-settembre
Realizzata da Stefano Ignone
Realizzata da Stefano Ignone
Playboy. L’assunto alla base della tesi della maggioranza silenziosa dell’Amministrazione è che la maggior parte della classe media è intrinsecamente conservatrice. Come possono allora le pur più efficaci tattiche organizz...
Leggi di più
Marca, terra di confine
Una Città n° 282 / 2022 marzo
Caro Prezzolini,
non mi sento proprio di fare un articolo sull’Ucraina: con asserzioni superficiali e imprecise farei troppo dispiacere ai miei amici ucrainici (nonchè ai miei amici polacchi). Ma forse non sarà inutile un accenno al p...
Leggi di più
A lume di ragione
...
Leggi di più