Il suo saggio, Les Territoires perdus de la République, riguardo alle violenze antisemite nelle scuole medie e nei licei francesi da parte soprattutto di studenti di origine maghrebina suscitò un certo scalpore e anche diverse critiche. Alla luce di quanto avvenuto nel novembre 2005, si è rivelato un libro premonitore...
Purtroppo sì. Non ne vado di certo fiero, ma i fatti confermano l’allarme che io cominciai a lanciare già nella prima edizione del 2002.
Il clima di violenze che ha scosso la Francia nel novembre del 2005 era già iniziato alla fine degli anni’90, subendo un’impennata dopo gli attentati di New York del 2001. Le testimonianze che riporto nel saggio si riferiscono alle violenze recenti, alle violenze fisiche recenti. E’ bene sottolineare come ancora una volta, le violenze fisiche siano state precedute dalle violenze verbali, il cui peso era stato sottovalutato. Purtroppo una violenza fisica, come la storia ci dimostra è sempre preceduta dalla violenza verbale. Questa violenza verbale era l’espressione di un clima intellettuale. Anche nelle scuole medie e nei licei c’era un clima violento, in particolare in seno alla classe insegnante, ma è solo dopo l’11 settembre che si è passati dalle parole alle aggressioni fisiche vere e proprie. Però già nel 1994, durante i corsi di formazione sulla storia della Shoah, di cui ero responsabile, alcuni docenti di storia cominciarono a raccontarmi quanto fosse difficile e problematico, con determinati alunni e in alcune classi, insegnare la Shoah. Il problema esiste quindi già da diversi anni.
La problematica nacque quando il Ministero della Pubblica Istruzione rese obbligatorio l’insegnamento della Storia della Shoah...
La storia della Shoah ha sempre fatto parte dei programmi di storia in quanto “inclusa” nella storia della seconda guerra mondiale. In seguito l’insegnamento della storia della Shoah è stato perfezionato. Tuttavia, mentre nel corso degli anni ’80 non ci sono mai stati incidenti, dalla metà degli anni ’90 nelle scuole si cominciano ad avere le prime avvisaglie e i primi incidenti, a sfondo antisemita. Io credo che i motivi di questo cambiamento siano da ricercare, da una parte all’interno di un retaggio antisemita che avvolge determinate realtà, e dall’altra in fattori di tipo congiunturale.
Tra il ’75 e il ’95, in Francia, grazie alla nuova legge di ricongiungimento famigliare, c’è stata una grande ondata migratoria, che ha coinvolto più di un milione di persone. La stragrande maggioranza di questi immigranti proviene da aree, come il Maghreb, che in questi ultimi anni hanno sviluppato un forte sentimento antiebraico, una vera e propria giudeofobia, aggravatasi a causa del conflitto israelo-palestinese. Questa gioventù maghrebina è stata quindi educata in un clima culturale antiebraico, rafforzato dal mantenimento di forti legami con la propria terra d’origine. Questi giovani, arrivando a scuola, hanno mantenuto e sviluppato un riflesso, che 20 anni fa era del tutto assente. Lo potremmo definire un fattore demografico. Poi però c’è un altro fattore di tipo congiunturale: l’aumento, negli anni ’90, della disoccupazione. Nella disoccupazione io includo anche tutti coloro che hanno impieghi precari e salari molto bassi. La forte immigrazione si è scontrata con l’incapacità dell’economia francese ad assorbire tutta questa nuova manodopera, appena arrivata. La frustrazione sociale è sfociata nel risentimento, le cui prime vittime sono stati gli ebrei. Perché gli ebrei? Perché nei paesi del Maghreb l’ebreo è considerato, da sempre, un essere inferiore.
C’è alla base dunque un certo retaggio culturale che si coniuga con un’insoddisfazione sociale rispetto alle attese e alle speranze di emancipazione economica e professionale. L’incapacità e la difficoltà ad integrarsi in Francia sfociano dunque nel risentimento che, in un primo tempo, si rivolge sugli ebrei, ma poi si allarga all’insieme della società francese. Tanti giovani “immigrati”, nati q ...[continua]
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