Qual è la situazione a Srebrenica oggi?
Almir. Rispondere alla domanda su come si vive oggi a Srebrenica è sempre molto difficile perché è una domanda che rimanda subito a un passato drammatico, nello specifico al genocidio. Ma riguarda anche il presente, cioè come affrontare quello che è successo e soprattutto come andare avanti.
Io sono nato nel 1983, per cui nel 1992, quando è cominciata la guerra, avevo circa dieci anni. All’epoca mia madre, mia sorella e io lasciammo Srebrenica, trascorrendo prima qualche giorno a Tuzla, poi a Zagabria, poi due anni in Slovenia, quattro anni in Germania. Abbiamo fatto vita da profughi: in Slovenia e in Croazia avevamo diritto a vitto e alloggio. In Germania, dove il sistema sociale è più generoso, c’era anche una sorta di indennità.
Solo nel 1998 siamo tornati tutti e tre in Bosnia, ma inizialmente ci siamo stabiliti a Tuzla.
Mio padre e mio nonno sono invece rimasti a Srebrenica tutto il tempo, fino al 1995. Mio padre è sopravvissuto e nel 1995 ha raggiunto Tuzla. Mio nonno è stato ucciso da qualche parte. Non si sa dove. Così è.
Venendo alla domanda, per me vivere a Srebrenica significa lavorare per il futuro di questa città, significa fare la mia parte affinché torni a essere un luogo multietnico, come era prima della guerra. Certo non è un’impresa facile anche perché le condizioni economiche sono molto critiche. Le attività produttive, come industrie e fabbriche, sono chiuse o distrutte; c’è poco lavoro, infatti in molti non sono tornati. Gli altri non ci sono più. Basterebbe un dato: nel 1995 c’erano 36.000 abitanti, oggi siamo attorno ai 10.000 ed è una stima per eccesso. Comunque si suppone che un terzo viva in città e il resto nei villaggi circostanti. E tuttavia io non conosco altro posto dove potrei e vorrei vivere. E’ la mia città.
Muhamed. E’ difficile avere statistiche precise, perché molti degli ex residenti esitano a trasferirsi definitivamente a Srebrenica, magari ci passano qualche mese d’estate, o vengono nei fine settimana, ma poi tornano a Sarajevo, a Tuzla o nelle città dove si sono sistemati in questi anni. E’ una seconda città.
Di cosa vivono oggi gli abitanti dell’area?
Almir. Nei villaggi c’è l’agricoltura, che però è quasi esclusivamente di sussistenza. E poi la pastorizia, soprattutto allevamento di ovini, capre e pecore. In città, gli anziani vivono delle loro pensioni, ma molte famiglie sopravvivono grazie alle rimesse dei parenti all’estero. Le uniche opportunità lavorative sono nel pubblico impiego, nell’università, oppure in qualche locale, bar o ristorante. Prima della guerra la sola industria dava 10.000 posti di lavoro. Ora c’è qualche microattività metallurgica, piccole officine, c’è una fabbrica slovena che fa fare dei pezzi agli artigiani locali, ma ci campa una famiglia. Hanno riaperto qualche miniera, ma solo parzialmente. La Republika Srpska ha dato la concessione a un magnate russo, che sta impiegando un po’ di personale, ma ci sono problemi logistico-infrastrutturali, le strade sono brutte e l’inverno è rigido.
Dijana. Vivere a Srebrenica non è come vivere altrove. Anch’io ci sono tornata dopo la guerra. All’inizio del conflitto siamo andati in Serbia, dove abbiamo dei parenti. Siamo rientrati nel 1996. E’ stata mia madre a voler tornare. Così le scuole medie le ho fatte qui e ora faccio Giurisprudenza. Io sono molto legata a questo luogo, ci sono tutti i miei ricordi d’infanzia. Certo oggi è una città strana. La maggior parte dei giovani se può se ne va, perché qui non vede futuro.
Muhamed. Io sono nato a Osmače, lo stesso paesino di Almir. I miei ricordi parlano di un’infanzia serena. Mio padre era il direttore della scuola. Siamo rimasti lì fino al 1992. Con l’inizio della guerra siamo stati sfollati a Srebrenica, dove siamo rimasti fino al 30 marzo del 1993. Poi ci siamo spostati a Tuzla, fino al 1996. Dal 1996 al 2008 ho vissuto a Sarajevo, dove ho fatto l’un ...[continua]
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