Un fatto terribile, un atto di guerra in pieno centro di Parigi. Il direttore di Charlie Hebdo, Stephane Charbonnier, "Charb”, ucciso con altre undici persone dagli assassini fascisto-islamici che hanno attaccato il giornale, aveva disegnato una vignetta tristemente profetica: "Ancora nessun attentato in Francia”, in cui risponde uno jihadista armato: "Aspettate. Abbiamo tempo fino a fine gennaio per farci gli auguri”, mentre nell’ultimo tweet del giornale campeggiava il Califfo Al-Baghadadi con l’augurio irridente: "E soprattutto la salute”. Alcuni degli uccisi, Wolinski, Cabu, Charb, Tignous, erano amici che hanno declinato nel corso degli anni in molti modi e con molte vignette la famosa frase: sarà una risata che vi seppellirà! Con uno spirito critico e libertario acuminato e iconoclasta nonché un’ironia straordinaria. Ma le risate, lo spirito critico e libertario, l’ironia, sono odiate dagli uomini in nero del nuovo fascismo jihadista che hanno voluto spegnerle con un atto di terrorismo urbano senza precedenti ed è molto semplice la risposta da dare: per tali fascisti -se non nazisti- che si nascondano o meno dietro il Corano, non dovrà esserci scampo, l’intera comunità civile altro non potrà che metterli al bando e combatterli fino alla loro totale sconfitta. Non facendo nessuna confusione né amalgama tra i nemici fascisto-islamici dell’umanità e chi professa la fede musulmana, chi viene in Europa immigrato a chiedere asilo e/o a cercare una vita più degna. Anzi, praticando esattamente l’atteggiamento opposto, in una strategia che tenga assieme la massima iniziativa civile, politica e militare contro i fascisto-islamici e la massima convivenza tra cittadini/e di fedi e culture diverse, unica via per poter uscire dalla melma velenosa di una guerra civile larvale in Europa e di una guerra dispiegata che assume in molti casi i connotati dello sterminio in Medio Oriente. Una via che deve restare unica, nonostante i prevedibili tentativi dell’estrema destra di divaricarla. Con una precisa bussola, che sono i diritti umani, civili, politici e sociali, a cominciare da quelli di Libertè, Egalitè e Fraternitè che nacquero con la Rivoluzione Francese e oggi ancor più sono attuali da pensare, dire, praticare.
Proviamo adesso a scavare un poco più a fondo. Quando lavoravo a Parigi in un istituto di ricerca in fisica teorica, l’ayatollah Ruhollah Khomeini, leader "maximo” politico e religioso dell’Iran, annunciò alla radio (1989) la condanna a morte dello scrittore Salman Rushdie, colpevole di aver scritto "I Versi Satanici” (The Satanic Verses). Più precisamente, riprendendo un’antica storia in un capitolo del libro, si racconta come Maometto venga ingannato da Satana, non facendo certamente una bella figura. Val la pena leggere un brano della fatwa khomeinista:
Informo tutti i buoni musulmani del mondo che l’autore dei "Versi Satanici”, un testo scritto e pubblicato contro la religione islamica, contro il profeta dell’Islam e contro il Corano, insieme a tutti gli editori e coloro che hanno partecipato con consapevolezza alla sua pubblicazione, sono condannati a morte. Chiedo a tutti i coraggiosi musulmani, ovunque si trovino, di ucciderli immediatamente, cosicché nessuno osi mai più insultare la sacra fede dei musulmani. Chiunque sarà ucciso per questa causa sarà un martire per il volere di Allah.
Nel laboratorio c’era anche un giovane dottorando maghrebino di religione musulmana il quale, a fronte del mio scandalo, sostenne la legittimità della fatwa, certo con tutti i se e i ma del caso, in specifico distinguendo tra la morte simbolica dello scrittore e delle sue opere -ritenuta giusta- dal suo omicidio fisico. Un giovane di buona famiglia, acculturato, intelligente, che studiava fisica teorica si era schierato a favore della fatwa, della messa all’indice di un libro e di uno scrittore che dovevano essere uccisi immediatamente! E già a quel tempo, come ebbi modo di verificare, quel brillante uomo d’ingegno che giustificava la fatwa non era solo, anzi. Saltando all’oggi, è un fatto che gli adolescenti parigini si riconoscano su base etnica, ben più che sociale e/o di censo, mentre nelle scuole i ragazzi bianchi sono chiamati, dai loro compagni di banco figli di immigrati di seconda generazione, "çaisfran” ovvero français -francesi- in argot inverso. Ovvero questi giovani, pur essendo per l’anagrafe francesi, non si riconoscono come tali, rivolgendosi con l’appellativo "çaisfran” ai loro compagni di scuola con una valenza spesso spregiativa. Perché la cittadinanza non è una carta d’identità, ma un processo di acquisizione di diritti e uguaglianza di fronte alla legge. Invece la Repubblica dei diritti dell’uomo per eccellenza, spesso ha negato nelle più varie forme questi diritti ed eguaglianze. Tutti sanno che se sei di colore scuro nei corridoi del metrò hai molte più probabilità di essere fermato dai flic che se sei bianco. Oppure quando telefoni per prenotare una stanza d’hotel chiamandoti Mohamed non è raro sia tutto occupato, salvo poi, facendo telefonare al tuo amico Dumas, ecco che spunta una bella stanza libera, proposta con voce cortese. Per non dire dell’accesso alle grandi scuole oppure della qualità di vita e di abitazione urbana, con le citè incistate nel tessuto civile, veri e propri ghetti dove la polizia entra con tecniche tipiche più della guerra d’occupazione e dei rastrellamenti che dell’azione poliziesca. Per esempio, la cité des 4.000, in origine la cité des Quatre Mille logements, è un quartiere della La Courneuve in Seine-Saint Denis, costruito negli anni Sessanta, che si è progressivamente degradato, diventando di fatto, se non di diritto, una discarica sociale dove s’accumulano oltre ventimila persone di provenienza maghrebina. Proprio lì nel 2005 Nicolas Sarkozy, al tempo ministro degli interni, fu contestato da circa duecento giovani assai arrabbiati, in grande maggioranza beurs -i figli con nazionalità francese di genitori immigrati specie dal Nord Africa. Il 2005 è anche l’anno della rivolta delle banlieue, quando tutti i giovani partecipanti furono chiamati e trattati come puri e semplici delinquenti e conobbero lo Stato solo attraverso il fumo dei lacrimogeni, col risultato, forse addirittura voluto, che molti di quei ribelli abbandonarono le speranze di convincere la Repubblica a occuparsi di loro assumendoli come cittadini a pieno titolo. Così, in questo vuoto di azione politica democratica ed egualitaria, la predicazione fondamentalista e la propaganda jiahdista hanno trovato terreno fertile nutrendo un immaginario collettivo di riscatto e liberazione per via religiosa e combattente. Immaginario collettivo che si è amplificato con la comparsa sulla scena del Califfato, lo stato islamico che oggi occupa un territorio esteso quanto la Francia, coi suoi ministeri, i suoi video di propaganda parecchio efficaci tra il taglio di una testa e un servizio giornalistico sulla bella vita che si fa a Mossul, la sua capitale, fatto nientepopodimeno che da un giornalista inglese già in ostaggio, i suoi molti soldi, la sua religione non solo predicata ma praticata come legge implacabile e le sue donne, volenti, nolenti o schiave, offerte ai soldati dell’Isis in premio come le famose vergini coraniche. Salvo le guerrigliere curde che contro gli uomini neri usano il fucile. L’immaginario collettivo può essere una potente forza sociale, quindi anche su questo fronte la società civile democratica deve mobilitarsi; una strage come quella perpetrata contro Charlie Hebdo chiama in causa ciascuno di noi, ci chiede di operare ovunque per disgregare questo immaginario svelandone l’intima tessitura fascista e oppressiva della libertà. Stasera molte persone sono in piazza a Parigi, Marsiglia e in molte altre città. Io sono Charlie -Je suis Charlie- va detto, gridato e scritto ovunque, in ogni città e piazza d’Europa e del mondo perché i nemici dei diritti e della libertà della donna e dell’uomo sono molti e agguerriti, nessuna sottovalutazione è permessa.
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