Quando ero in carcere a Porto Azzurro, avevo corrispondenza epistolare con una maestra di scuola elementare che viveva e insegnava a Piombino, in provincia di Livorno.
Dopo vent’anni di carcere mi isolarono, mi applicarono il 41bis, legge speciale che il Governo italiano approvò col decreto Scotti-Martelli per le stragi avvenute nell’anno 1992, quelle in cui morirono i giudici Falcone e Borsellino. Non sono di origine siciliana, non ho mai avuto imputazioni processuali di associazione mafiosa. Mi prendono un pomeriggio e mi mettono in una cella che era in disuso da più di trent’anni, perché tanti anni prima ci vivevano gli ergastolani, che uscivano dal quel luogo solo da morti, quando li portavano al cimitero che c’era all’interno del carcere. Tanti anni fa lo Stato italiano non restituiva gli ergastolani ai familiari nemmeno da morti: erano considerati proprietà dello stato. La cella era senza finestre, cortissima, ci stava di misura una branda e un tavolino di fianco. Quando scrissi alla mia amica di lettera, perché non la conoscevo di persona, le spiegai la mia nuova situazione carceraria. Restò talmente colpita dal contenuto della lettera, che per me era del tutto normale avendo vissuto quella situazione più volte durante la mia carcerazione, che la lesse in classe ai suoi scolari, di quarta elementare, e disse loro di scrivere un tema a proposito dello stato di disagio in cui io mi trovavo.
Mi mandò i temi che i suoi alunni avevano scritto. Il primo ragazzo scriveva che io ero stato prigioniero dei tedeschi in un campo di concentramento, ed ero ancora traumatizzato dalle sofferenze che avevo subìto. Il secondo scolaro era una ragazzina che diceva che avevo perso la persona amata e non mi davo pace per la sua perdita. Il terzo ragazzo mi lasciò molto sorpreso: scriveva che ero in carcere e riportava nel suo scritto un intuito sorprendente e una grande bravura nello spiegare la mia situazione. Finiva la lettera dicendo: "Giovanni, non ti preoccupare che vengo io a salvarti!”. Concludeva con un disegno che riportava un uomo in riva al mare sotto una palma con un blocco notes in mano e una penna. C’era scritto: "Cara Gianna”.
La sua maestra si chiamava Gianna.
Ci furono altre lettere tra di noi.

Carcere di Catanzaro