Per la prima volta in Italia, la Commissione Giustizia della Camera, tramite collegamento Skype e con grande soddisfazione dei detenuti della Casa di Reclusione di Padova, è "entrata” in un carcere. Finalmente ha potuto ascoltare le testimonianze nostre e delle nostre famiglie riguardo l’affettività in carcere. Questo perché la nostra voce deve essere un punto di svolta, non solo in questo istituto, ma di esempio anche per altre Case di Reclusione. Noi detenuti ci impegniamo ogni giorno con forza e determinazione, e questo grazie alla nostra coordinatrice Ornella Favero, che ci fa partecipare alla redazione di "Ristretti Orizzonti”. Il nostro quotidiano impegno ci mette nelle condizioni di poterci esprimere liberamente e dire quanto forte è il desiderio di cambiamento, raccontare quello che subiscono i nostri cari e quanto è difficile coltivare le relazioni affettive con i familiari quando si sconta una lunga detenzione. Né crediamo che le relazioni con i familiari, soprattutto con i figli, si possono salvare solo quando si hanno a disposizione i mezzi. Oggi lo Stato tende la mano ai detenuti solo perché sono i detenuti stessi a chiedere un aiuto, necessario a sanare i rapporti con le famiglie logorati dalla lunga detenzione. Qui non parliamo della lunga detenzione, ma della grande sofferenza che opprime l’amore per i nostri cari.
Chi vive lontano dal luogo di residenza patisce un disagio psicologico ed economico indescrivibile. La distanza non fa che tormentare continuamente i nostri cari che non sempre possono giovarsi delle poche risorse economiche.
C’è bisogno di voltare pagina, di incominciare a pensare che le nostre colpe non devono ricadere su altri che non hanno alcuna colpa se non quella di volerci bene.
Quando si hanno genitori in età ormai avanzata, quando si hanno figli che vogliono sentire la voce del proprio padre, dieci minuti di colloquio telefonico a settimana non bastano. Bisogna liberalizzare i colloqui telefonici, in fondo sono a carico del detenuto stesso!
Liberalizzare poi colloqui via Skype vorrebbe dire avere la possibilità di vedere i propri figli e tutti gli altri familiari se questi sono impossibilitati a venire…
Bisogna tutelare il futuro del detenuto, confrontarsi con la realtà; da parte nostra c’è la disponibilità al cambiamento.
L’affettività in carcere è possibile. Si può pensare a una cosa del genere, sì! Le istituzioni devono uscire dallo stereotipato schema carcerario, considerare che dietro noi detenuti ci sono mogli e figli, persone condannate a seguirci per tutta l’Italia. L’affettività va garantita a tutti, anche a chi ha sbagliato, a chi si mostra in prima linea osando là dove altri non possono arrivare con la propria voce. Speriamo di cuore che le nostre testimonianze possano toccare quel sottile nervo scoperto, in modo da far cambiare opinione.
Noi, giorno dopo giorno, cerchiamo di migliorare sempre di più, ma lo Stato non deve dimenticare problematiche importanti come questa dell’affettività in carcere. Noi crediamo che, a prescindere dal reato commesso, trascorrere 24 ore con la propria famiglia sia una cosa buona e di buon senso. Non ci rimane che augurarci che la Commissione Giustizia dia esito positivo nel più breve tempo possibile.
Carcere di Padova
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Articolo di Giovanni Zito
L'affettività in carcere
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