Appunti di viaggio di Paolo Bergamaschi.
Di tutto aveva bisogno la Moldavia fuorché di nuove elezioni. La crisi politica che nel giro di pochi mesi aveva portato alla caduta di due governi sembrava conclusa e archiviata a gennaio con l’insediamento del nuovo primo ministro Pavel Filip, anche se le manifestazioni di piazza non cessavano, con i dimostranti irremovibili nella richiesta di un cambiamento radicale che mettesse fine alle consolidate pratiche di malgoverno che avevano afflitto il paese dai giorni della dichiarazione di indipendenza da Mosca. "Basta corruzione, basta burattini di partito”, gridavano gli occupanti del parco antistante l’edificio del parlamento mentre erigevano tende, sistemavano grandi poster e stendevano striscioni di protesta con l’intenzione di non spostarsi fintantoché le loro domande non avessero ottenuto risposta. Una di queste era l’elezione diretta del presidente della repubblica, carica cerimoniale ma altamente simbolica in un sistema parlamentare come quello moldavo. Decine di migliaia erano state le firme raccolte che chiedevano la riforma. Per ben tre anni, dal 2009 al 2012, il parlamento non era stato in grado di eleggere la più alta carica dello stato a causa dell’incapacità di raggiungere i tre quinti dei voti necessari. "È il popolo che deve decidere”, sosteneva un fronte variegato di cittadini di diverso orientamento politico mentre si avvicinava la scadenza di fine mandato di Nicolae Timofti, l’ex giudice costituzionale scelto come figura di compromesso dopo il deplorevole stallo degli anni precedenti. Da una parte la rabbia e la protesta dei manifestanti, dall’altra la resistenza e il temporeggiamento della coalizione di governo. Ci ha pensato la corte costituzionale a risolvere il braccio di ferro accogliendo, in parte, nel marzo scorso, il ricorso di alcuni deputati contro la riforma costituzionale del 2000 e reintroducendo il voto diretto del capo dello stato in vigore fino ad allora. Così, a distanza di vent’anni i cittadini moldavi sono stati chiamati di nuovo a scegliersi direttamente il presidente. L’ultimo capo di stato con mandato popolare, infatti, era stato Petru Lucinschi nel 1996. Soddisfatti i manifestanti che hanno svuotato le piazze, un po’ meno le forze di governo che si sono inaspettatamente trovate ad affrontare una nuova grana potenzialmente in grado di scardinare i fragili equilibri del paese. Tutto è possibile in Moldavia, compreso il paradosso di una corte costituzionale che boccia una riforma costituzionale per la somma gioia degli studiosi di diritto e gli istituti universitari di giurisprudenza che avranno abbondante materiale fresco con cui scrivere saggi e produrre elaborate tesi specialistiche.
Un paese deistituzionalizzato
"Queste elezioni sono di gran lunga le più squilibrate, inique e sporche della storia moldava”, dice Vladimir Socor, uno stimato ricercatore invitato a una audizione in Parlamento europeo sulla situazione nella ex Repubblica sovietica, che non usa mezze misure quando descrive la Moldavia come un paese "deistituzionalizzato”. "Il potere a Chisinau si esercita al di fuori di governo e parlamento”, accusa, sottolineando come tutte le decisioni che contano siano prese, in realtà, da Vladimir Plahotniuc, l’oligarca padrone dello stato. "Con le sue televisioni Plahotniuc fa il bello e il cattivo tempo -afferma- la colpa dell’Unione Europea è di non avere impedito il suo potere assoluto”. Mentre parla, Socor snocciola dati inequivocabili che dimostrano come Marian Lupu, il candidato sostenuto dall’oligarca, disponga di una macchina di propaganda sproporzionata rispetto al resto dei candidati alla presidenza.
Socor, però, è colto di sorpresa quando, durante il suo discorso, giunge da Chisinau la notizia che, a pochi giorni dal voto, Lupu ha appena annunciato il suo ritiro dalla corsa presidenziale. Non sempre bastano i media e la pubblicità per fare di un brocco un cavallo vincente. Gli uomini di potere, specialmente quelli del potere occulto, giocano su più tavoli e hanno sempre pronto un "piano B” quando la situazione non va per il verso desiderato e i sondaggi non danno speranze.
"Marian Lupu sente, ascolta e risolve”, è lo slogan che campeggia sui poster con il volto dell’ormai ex candidato che incrocio sulla strada che dell’aeroporto della capitale moldava mi conduce all’hotel. Non pensavo di ritornare in Moldavia nelle vesti di osservatore elettorale, ma l’eurodeputato Igor Soltes è stato di nuovo nominato al vertice della missione d
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continua]
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