Abbiamo avuto l’onore come Una città di avere fra i nostri amici e collaboratori Lisa Foa. Il rapporto con Lisa nacque con l’intervista. Poi Lisa stessa fece interviste per noi, in particolare a esuli polacchi e russi, e ci aiutò sempre con consigli e critiche. La ricordiamo ripubblicando l’intervista che le facemmo nel 1994 (n. 31) e i brevi interventi che alcuni suoi amici hanno tenuto in Campidoglio, il 5 marzo, durante la commemorazione. A Bettina, Anna e Renzo le condoglianze di tutta la redazione.

Carlo Degli Esposti
Mi mancheranno le sue risate e anche quelle telefonate con cui, con aria gentile, mi chiedeva di partire per Varsavia con due scatoloni di maccheroni Buitoni dentro ai quali, oltre ai maccheroni, c’era la stampa clandestina di Solidarnosc. E tornare per poi ripartire di nuovo dopo quindici giorni.
Mi mancheranno tutte queste cose, e penso che dobbiamo continuare a volerle bene come le abbiamo voluto.

Lucia Ajmone Marsan
Ci sono due parole sole che possono riassumere quello che ha significato il movimento per la liberazione dal fascismo e dal nazismo, e le motivazioni di tutti noi, giovani allora. Queste due parole sono amore e dolore. In Lisetta ho sempre sentito questa spinta straordinaria. L’amore era una passione per lei, dovuta anche a come era cresciuta, a quello che nella sua famiglia non era stato un “mito” ma una realtà, dolorosa anche: Renzo in Spagna, la lunga carcerazione, Vittorio. Cos’altro poteva fare lei se non essere anima e corpo in quello che si faceva allora? Ognuno aveva sue motivazione, dovute anche ad amore e dolore. Ma lei era così forte, così spontanea, così giovane… Mi sembra ancora di vederla, ragazzina. Ha cominciato sotto i vent’anni ad attaccare i manifesti di notte con Mario Motta, a Torino, poi a Milano… E questo suo desiderio insopprimibile di andare sempre oltre, mentre persone come me ad un certo punto si sono fermate… Il legame però è rimasto, perché abbiamo vissuto insieme dei momenti drammatici, che lei peraltro minimizzava.
Io non ho mai visto le lacrime negli occhi di Lisetta, le ho viste negli occhi di Vittorio, allora, in quei momenti in cui poteva anche andare a finire in un altro modo… quella sua cattura e le carceri milanesi di allora, e la presenza dei tedeschi, e il ricatto proposto a Vittorio, in cambio un’abdicazione, quasi. Ma insieme si riusciva a dire di no. Ed era lei che dal carcere, in pericolo, ci sollecitava: “Non preoccupatevi di me, ci sono dei casi molto più gravi”. E dovevamo ubbidire. E tutto questo con una gioia, con una gioventù, con una leggerezza, con quello straordinario amore e dolore che lei si portava dentro… E che si è portava dentro fino alla fine, questa fine così dolce e così dignitosa.
Per noi è stata un grandissimo esempio, da lei abbiamo imparato moltissimo.

Emanuele Macaluso
Quando penso a Lisa la immagino sempre come un treno: camminava su un binario, si fermava, lottava, organizzava, si muoveva, conosceva, comunicava, poi ripartiva. E in questo viaggio ha incontrato tante persone e tante generazioni che oggi la ricordano con grande affetto. Credo che qui manchi solo una persona, Adriano, al quale è stata legata da un rapporto di amicizia straordinario.
Io ho conosciuto Lisa più di cinquant’anni fa, eravamo in vacanza a Bardonecchia, forse nel ’51 o nel ’52, i ragazzi erano tutti piccolissimi, io facevo giocare Renzo a calciobalilla, e subito ho allacciato con lei un rapporto che non si è mai interrotto.
L’ho poi rincontrata a Botteghe Oscure, nel ’62, lei era a Rinascita, al piano terra, e io all’organizzazione del partito, e ci vedevamo quasi quotidianamente.
Poi abbiamo fatto un viaggio straordinario nei Paesi dell’Est, e lì ho capito chi era Lisa. Perché lei aveva una capacità di raccontare e di scrivere quello che vedeva facendolo apparire un racconto “ortodosso”. Ed invece dissacrava. Dissacrava con la ragione, con l’intelligenza, con la conoscenza.
Anche i suoi transiti nella sinistra italiana sono stati quelli di una persona che credeva in determinate cose finché veniva un momento in cui riteneva non fosse più giusto difenderle o sostenerle. E allora con grande onestà intellettuale avviava un altro percorso e un’altra battaglia. Sono transiti avvenuti dentro una comune storia umana, politica e intellettuale, ma lei li ha risolti in maniera diversa. Li ha risolti sempre in maniera pulita, limpida, con impegno e con una grande capacità di trasmettere alle generazioni successive. E soprattutto con continuità. Non c’è discontinuità in questo suo modo di fare politica. Io vedo in Lisa una coerenza straordinaria. Molti pensano che i suoi transiti siano stati, in fondo, segni di inquietudine e di incoerenza. Io penso invece che la sua fosse un’inquietudine nella coerenza. E così la ricordo fino agli ultimi giorni, quando ci siamo visti, in occasione dell’uscita del suo libro, di cui ho scritto la recensione. Un libro bellissimo, straordinario, che ci dimostra come un revisionismo storico e politico possa essere condotto con intelligenza e con coerenza. Anche con critiche aspre, operando forse delle rotture, ma tali da poter essere accettate anche da chi, da quelle parole, è stato costretto alla riflessione.
Quella è stata una delle ultime volte in cui ho potuto parlare con lei e l’ho ritrovata, malata, con la passione e l’intensità di una che comincia in quel momento a parlare e a riflettere. Ho discusso con una donna che pensava che la vita stesse cominciando, anche se sapeva che la sua finiva. Per questo penso che Lisa sia stata veramente un grande esempio, per noi vecchi, ma anche per tanti ragazzi.

Gianni Sofri
Anch’io sono rimasto molto impressionato, come credo tutti, dal succedersi di generazioni al fianco delle quali Lisa è stata. E senza che nessuno riuscisse a cogliere nel suo aspetto fisico, fino a i tempi della cattiveria finale della malattia, una differenza o l’appartenenza a un’altra generazione. Lei in quel momento diventava e apparteneva a quella generazione di ragazzi coi quali partecipava e parlava. E quindi a tutti noi, ai suoi coetanei, a quelli della mia generazione e a quelli molto più giovani, ha insegnato delle cose. E questo mi sembra interessante come segno di una vita. Perché Lisa lo faceva con quel riserbo e quella discrezione che le erano tipici, ma anche con molta ironia...
Ho avuto con lei un primo incontro che a distanza di tempo può apparire ridicolo, e tale infatti a lei appariva. Io a metà degli anni Sessanta studiavo una cosa che si chiamava Modo di produzione asiatico e lei lavorava a Rinascita. Allora pensai -all’epoca ero molto giovane- che una donna che scriveva delle cose così importanti non potesse essere che una professoressa. Così le scrissi una lettera molto formale, che iniziava: “Gentile professoressa, sono molto interessato agli argomenti che lei studia, potrebbe darmi delle indicazioni?”. E lei mi rispose, dandomi ovviamente tantissime indicazioni -perché Lisa aveva una cultura straordinaria- ma mettendo una frase alla fine della lettera che in sintesi diceva: “Non sono mai stata una professoressa, e forse lei giovane Sofri dovrebbe stare attento a non pensare che soltanto i professori abbiano delle idee”. Quello fu l’inizio di una grande amicizia, ma Lisa non mi ha mai perdonato del tutto -lei ricordava sempre tutto- tanto che ha raccontato più volte l’episodio. Al punto che alla fine mi sono messo a raccontarlo anch’io… E l’ho ricordato anche di recente, durante un’intervista a una giornalista svizzera, alla quale ho parlato più volte di Lisa. Di questa intervista poi ho fatto una copia e l’ho mandata a Lisa, pochissimi mesi fa. E lei, procuratasi l’attrezzatura necessaria, ha ascoltato il tutto, non solo le parti che la riguardavano, e che io le avevo indicato, e poi mi ha fatto una telefonata bellissima, in ci mi ringraziava, mi raccontava di essersi divertita agli aneddoti che riguardavano lei e me…
Però era sempre Lisa e mi ha detto che c’erano stati due o tre punti dell’intervista in cui ero stato impreciso. E mi ha corretto. Io mi sono commosso ed emozionato al fatto di essere ancora corretto da Lisa. E credo che in questi anni che mi rimangono da vivere e da scrivere, starò ancora più attento, pensando alle sue possibili correzioni.

Lucetta Scaraffia
Circa un anno fa, proprio in questi giorni, avevo portato a Lisa uno dei primi volumi di Italiane, questa raccolta che avevamo fatto in cui c’era la sua bella biografia scritta da Adriano Sofri. E Lisa, col suo solito understatement, mi aveva detto: “Io sono qui solo perché sono una raccomandata, non avrei dovuto esserci”. Sappiamo tutti che non era solo per la lunga amicizia che ci univa a lei, c’era soprattutto il riconoscimento dovuto a una donna che è stata molto importante nell’Italia del Novecento. Una donna che ha vissuto con intelligenza, coraggio, eleganza ed ironia, le grandi passioni politiche ed intellettuali del Novecento. Quasi tutte tranne il femminismo, con cui non è stata mai molto in sintonia. Forse perché era femminista la sua nonna, Elisa Lollini, da cui aveva preso il nome, e che a Lisa raccontava le sue avventure, facendola divertire moltissimo. Diceva: “Ho preso il nome da questa nonna”, anche se lei appunto non si è mai sentita sintonica col femminismo. Eppure, con una famiglia come la sua, figlia di Michele Giua, sorella di Renzo Giua, moglie di Vittorio Foa, qualunque donna sarebbe rimasta tramortita. Lisa non se n’è mai fatta un problema e ha sempre affrontato la vita nel suo modo molto personale. Non a caso ho usato il termine “elegante”. E non intendo solo la sua eleganza di modi e di stile che tutti le abbiamo sempre riconosciuto, ma anche un’eleganza più profonda, quella del suo totale disprezzo e disinteresse per ogni riconoscimento istituzionale, accademico, e anche massmediatico. Lisa viveva le sue battaglie con profonda onestà, e le importavano solo i rapporti, umani e intellettuali, con le persone. Questa è una cosa molto speciale, lo sappiamo, così come molto speciale è stata la sua capacità, negli ultimi decenni della vita, di parlare sempre del suo passato con grande distacco e lucidità, misti a quella sua ironia che tutti conoscevamo. Vedere il proprio passato e la propria vita, anche eroica, perché Lisa è stata una donna con degli aspetti di eroismo, con questo distacco critico non è da tutti. Vorrei finire ricordando una considerazione che ha fatto Lisa una delle ultime volte in cui sono andata a trovarla. Lisa, quando l’andavamo a trovare, amava porre un tema di conversazione, sempre di grande intelligenza e acutezza. E quella volta mi aveva proposto questo: io sono di una generazione che ha voluto cambiare il mondo, chi ci aveva autorizzati? Ecco, questa domanda ci fa capire benissimo la sua capacità di distacco critico con se stessa, con la sua vita, e anche la sua profondità rispetto a quello che aveva fatto.

Guido Crainz
Ho parlato l’ultima volta a lungo con Lisa giovedì pomeriggio, abbiamo parlato di tutto, di Giuliana Sgrena, del Libano, ma è finita con una raccomandazione, con quel tono scherzoso, che cerco di restituirvi: “Devi dirlo ai tuoi amici storici, che la devono piantare di presentare il Novecento solo ed esclusivamente come un secolo di massacri e di drammi. Certo, è stato questo, ma è stato anche altro. Io ho visto cadere tutti gli imperi, quelli coloniali, il fascismo, il nazismo, anche l’impero sovietico. Diglielo ai tuoi amici storici, metti una parola buona, tu che mi stai qualche volta ad ascoltare. Non è stato solo questo il Novecento”.
Perché Lisa aveva la grande capacità di farti vedere che una cosa, certo, era quella, ma era contemporaneamente anche altro. E ti aiutava continuamente ad alzare lo sguardo. Nell’ultimo mio lavoro Lisa è stata fondamentale nell’aiutarmi ad alzare lo sguardo dal punto dov’era, a farmi capire che la storia di cui mi occupavo stava in una storia ancora più grande. Mi dava consigli, mi ha fatto avere persino dei libri, come se fossi io chiuso in ospedale e non lei. E credo si sia divertita moltissimo a fare il libro di geografia con Gianni e con altri, perché era un modo per farci vedere le cose, lì c’era la sua capacità di trovare del nuovo e farcelo vedere. E non saremo mai abbastanza grati a Brunella Diddi e a Stella Sofri per averla portata a fare questo libro, che però lei voleva fortemente fare. Rispetto ai rcordi della famiglia, mi è rimasto impresso il telegramma della madre dopo la condanna del padre: “Condanna grave - state sereni”. E poi c’era il giudizio su Togliatti, un giudizio che spiazzava. Certo, c’era la doppiezza in Togliatti, ma la doppiezza non era monolitismo, era comunque meglio di Torez, meglio di altri. Io sono riuscito solo una volta a portare Lisa ai microfoni di Radio Tre insieme ad Anna e ad altri, e fu in occasione di un convegno su Togliatti. E lì lei portò il suo punto di vista, lo stesso che ha riportato nel suo libro. Riuscì a portarlo solo quella volta.
Negli anni Ottanta, prima della caduta del muro, Lisa mi faceva conoscere, e mi chiedeva di far conoscere, libri, testi, romanzi di quel dissenso, di quella cultura dell’Est che l’Italia guardava ancora in modo così distratto. Io credo non riusciremo mai a comprendere quante cose ci ha fatto capire, quante cose ci ha fatto conoscere Lisa. Soprattutto aveva una predilezione per i giovani sprovveduti e indifesi come ero io trent’anni fa, quando l’ho conosciuta, nel ’74. E poi la sua convivialità: era un’esperienza straordinaria andare a cena da Lisa. Io poi ricordo uno straordinario divertentissimo viaggio in Sardegna, e una Lisa severissima, al Torgnon, che selezionava un canestro di funghi che noi incauti avevamo raccolto… E poi il dolore per gli amici più giovani, Alex, Mauro, Checco, io li sento tutti qui in questo momento. Forse il dolore si confonde, l’unica cosa chiara è che tutti noi che siamo qui abbiamo condiviso il privilegio di aver conosciuto e voluto bene a Lisa.

***
E’ molto doloroso parlare di Lisa al passato, perché Lisa è sempre stata una presenza fissa negli anni della mia vita in Italia. L’ho conosciuta nel 1970, insieme alle mie amiche Marta Petrusewicz e Irena Grudzinska a casa sua e di Vittorio dove ci siamo incontrate per decidere come aiutare Jacek Kuron e Karol Modzelewski, autori della famosa “Lettera aperta al partito”, nuovamente incarcerati in Polonia. Prima di Lisa avevamo già contattato alcune persone della sinistra italiana, che erano i nostri interlocutori preferiti. Ma questa scelta non era ricambiata; i contatti con la sinistra -anche quella extraparlamentare- in relazione al dissenso dell’Est, specialmente in quegli anni, non erano facili; si veniva accolti con diffidenza, bisognava spiegare e rispiegare che si trattava di un movimento di sinistra che voleva colloquiare con la sinistra occidentale. Era difficilissimo ottenere che venisse fatto qualcosa per le persone incarcerate o messe sotto processo. A Lisa invece non bisognava spiegare nulla; si lavorava e si parlava con lei in perfetta sintonia, allora e negli anni a venire.
Tutti gli amici dissidenti polacchi che riuscivano miracolosamente ad ottenere il passaporto e a venire in Italia, Karol Modzelewski, Adam Michnik, mio fratello Kostek Gebert (Dawid Warszawski) cercavano Lisa, sempre curiosa di notizie e sempre disposta a spiegare loro le alchimie della politica italiana, a metterli in contatto con altre persone. Lisa è stata preziosa nell’aiutare il Comitato di solidarietà con “Solidarnosc” di Roma, nato dopo l’introduzione della legge marziale da parte del governo Jaruzelski; offriva buoni consigli e reclutava i “corrieri” da mandare in Polonia con i carichi di aiuti per la stampa clandestina, tra i suoi amici, come Adriano Sofri o Carlo degli Esposti. Durante la breve esperienza di “Reporter” a metà degli anni ‘80, Lisa faceva pubblicare tutti i giorni articoli, corrispondenze e notizie sull’ “Altra Europa” , abitualmente ignorata dai quotidiani italiani, scritti da Wlodek Goldkorn, Mauro Martini, Dawid Warszawski, trattando i paesi dell’Europa Centro-orientale, la Russia, la Polonia, come se fossero dei posti “normali”, come se il muro di Berlino fosse già crollato.
Nel corso degli anni i legami tra Lisa e la Polonia si sono moltiplicati, le amicizie consolidate, i contatti mantenuti. Osservandoci, Lisa diceva sempre che la colpiva molto il nostro senso di amicizia così duratura negli anni. Leggendo l’intervista apparsa su “Una Città” ho capito che quel senso dell’amicizia le doveva ricordare l’atmosfera vissuta durante gli anni del fascismo che poi si era interrotta negli anni del dopoguerra. Dopo l’ 89 Lisa non ha mai smesso di seguire con attenzione quello che succedeva nel nostro paese; lei stessa invece ha avuto là un momento di notorietà all’inizio degli anni ‘90, quando Wlodek Goldkorn ha pubblicato un’intervista a lei sulla rivista “Krytyka” diventata legale dopo l’ 89. Nell’intervista si parlava dell’atmosfera in Italia dopo la sconfitta del fascismo negli anni del dopoguerra, di una certa delusione dopo le grandi aspettative degli anni precedenti. Era esattamente ciò che provavano i nostri amici in Polonia dopo il crollo del regime comunista, amareggiati di fronte ai primi conflitti, i primi tradimenti all’interno del movimento dell’opposizione antitotalitaria. Le parole lucide di Lisa su quel periodo hanno avuto una vasta eco, l’intervista è stata letta e discussa da molti.
Il 5 marzo scorso, “Gazeta Wyborcza” di Adam Michnik, il principale quotidiano polacco, ha pubblicato un breve articolo dedicato a Lisa, intitolato: “La nostra amica torinese”.
Un anno fa il “Corriere della Sera” pubblicò un servizio su una fondazione polacca “Pogranicze” (Terra di confine) che si occupa da una quindicina d’ anni di attività culturale e di solidarietà al confine tra la Polonia e la Lituania, dove convivono popolazioni di nazionalità diverse (polacchi, lituani, bielorussi) con rapporti reciproci non sempre amichevoli e dove vivevano una volta anche moltissimi ebrei. L’attività della fondazione riguarda inoltre tutte le zone dell’Europa e non solo, che possono essere considerate “di confine”. Lisa è rimasta molto colpita dalla vicenda di “Pogranicze” che le è sembrata essere gemella di quella dedicata ad Alexander Langer a Bolzano. Così, dalla sua stanza della clinica in via Aurelia, anche per ricordare i 15 anni dallo sgretolamento del blocco sovietico iniziato proprio dalla Polonia, ha convinto la fondazione Langer ad assegnare a “ Pogranicze” il premio annuale, ha contribuito all’organizzazione della settimana dedicata nel luglio dell’anno scorso alla Polonia e all’est Europa, scrivendo le motivazioni del premio e dando indicazioni sulle persone da contattare. Non ha potuto partecipare di persona a tutte queste celebrazioni e a Bolzano la sua mancanza si è sentita moltissimo.
E’ superfluo dire come ci mancherà adesso che non si può più andarla a trovare in via Aurelia, a sentire i suoi commenti spregiudicati e liberi, sempre interessanti e vivaci su quello che succede nel mondo, in Italia, a scambiare notizie su figli, nipoti, amici.
Come ha detto Karol Modzelewski ad un giornalista che l’ha contattato dopo la scomparsa di Lisa: siamo orgogliosi di averla conosciuta.
Lucyna Gebert