Ci vuoi raccontare la storia di questa rivista dedicata alle donne, che usciva insieme all’Osservatore Romano, e che è stata chiusa d’imperio? Tu la dirigevi.
La rivista ha una storia lunga. Da tanti anni avevo voglia di fare una rivista per le donne perché a mio avviso mancava.
C’erano quelle che possiamo chiamare “raccoglitrici di pubblicità”, quelle che dicono che si deve girare sempre con la sottoveste di pizzo o che ci si deve fare un amante se si è di cattivo umore, riviste molto consumiste e false emancipazioniste, direi io; poi ci sono state, ora quasi non più, riviste femministe molto ideologicizzate che si occupano di temi politici, poco, e molto di piccole questioni. Sono mancate, invece, delle riviste in cui si potesse discutere veramente di questioni che interessano alle donne. Questa per me è sempre stata una lacuna grave e per anni ho sognato di farne una insieme alle amiche con cui collaboravo. Ogni tanto facevo dei progetti, li proponevo a qualcuno, ma tutti dicevano che le riviste per donne si reggono sulla pubblicità e la pubblicità deve essere diretta a un certo tipo di donne. Quindi con le nostre idee eravamo fuori da ogni mercato.
Come mai l’Osservatore Romano?
Perché avevo cominciato a collaborare con l’Osservatore Romano quando era diventato direttore Giovanni Maria Vian, che era stato mio collega alla Sapienza ed era un amico. Avevamo collaborato diverse volte, tra l’altro eravamo gli unici due cattolici di un grande dipartimento o, almeno, gli unici due che lo dicevano. Così, quando è diventato direttore, mi sono detta che forse il momento per fare questa rivista era arrivato. Io però la pensavo non strettamente cattolica, ma credevo anche che il mondo cattolico fosse un buon punto di partenza per fare una rivista anticonformista.
Ma tu sei cattolica?
Io ho avuto un’educazione cattolica molto banale, alla periferia di Torino, con un catechismo in parrocchia, molto tradizionale, e però l’avevo presa molto sul serio. Avevo un padre massone, una madre credente, praticante più che credente, a casa mia non c’era un fervore spirituale. Andando al catechismo io invece avevo dei momenti di intenso fervore, volevo fare dei fioretti, cose così, ma in casa mi guardavano con l’occhio sbarrato e ho smesso subito. Poi quando sono arrivata all’università, avevo 18-19 anni, mi sono scontrata col ’68, una bufera in cui mi sono sentita molto coinvolta.
Ero alla Statale di Milano, e ovviamente ho messo in discussione la famiglia e la Chiesa, che erano strettamente collegate. Agli occhi di mia madre, avrei dovuto frequentare la chiesa perché questo garantiva la mia moralità sessuale, aveva fatto un asse totale tra devozione e moralità sessuale, cosa che mi mandava in bestia e quindi ho lasciato tutto e per una decina d’anni non ho più avuto nulla a che fare con la Chiesa. Certo ogni tanto vedevo dei cattolici anche nel movimento studentesco, ma così, senza alcun interesse.
Mi sono rioccupata della religione quando come storica ho cominciato a interessarmi di donne, perché le donne religiose, soprattutto le sante, o le monache, erano le uniche di cui esistevano dei documenti, le uniche che nella storia dell’Occidente si erano distinte, che avevano scritto qualcosa. Molte delle storiche delle donne negli anni Ottanta hanno cominciato a scoprire le donne religiose e sante soprattutto come materiale di studio. Ma perché lì almeno c’era del materiale, lì potevamo trovare qualche cosa. E abbiamo trovato una miniera. Perché queste donne sapevano di essere donne, hanno scritto delle cose straordinarie sul fatto di essere donne e questo in un mondo di uomini, un mondo maschile. Ho letto tutto quello che loro hanno scritto e quando sono arrivata a Teresa D’Avila ho sentito una profonda affinità interiore con queste sante. Diciamo che mi hanno convertita da lontano. Così ho pensato di ritornare a frequentare... Sono andata dal parroco del mio quartiere a Roma che mi ha accolta a braccia aperte senza neanche fare troppe domande e ho ricominciato a fare la comunione e, quindi, a interessarmi a tutto quello che succedeva nella Chiesa anche se all’inizio non ci capivo molto. E ho continuato a occuparmi della storia delle religiose. Sono andata negli archivi di una congregazione che per me è stata decisiva, quella delle missionarie del Sacro Cuore fondata da Francesca Cabrini. Lì ho conosciu ...[continua]
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