Oggi non è difficile solo fare l’unità tra Uil, Cisl e Cgil, ma anche quella tra nord e sud, tra lavoratori giovani e anziani… viviamo in una società che pone grandi problemi, anche proprio di coesione.
Ma, ripeto, le crisi, le fasi di cambiamento, aprono anche grandi opportunità. Certo, è una sfida. Per questo è importanti essere audaci, senza rintanarsi o chiudersi. Il titolo, “le nuove frontiere del sindacato”, mi sembra particolarmente azzeccato perché si tratta di uscire da quelle riserve indiane nelle quali gli errori della politica hanno racchiuso non solo il sindacato, ma anche le forze intermedie nel nostro paese e di guardare oltre, verso una frontiera più ampia.
Questo significa che il sindacato, così come ha fatto in altre occasioni, deve trovare il coraggio di rimettere in discussione anche se stesso. Deve individuare i cambiamenti da adottare e ritrovare la capacità di proporre. Non può limitarsi a ragionare solo sulle scelte operate dagli altri.
Voi oggi avete parlate del presente e del futuro, ma è importante avere un occhio anche a quello che è avvenuto nel passato.
Nel 1919, alle prime elezioni a suffragio generale (anche se le donne non votarono in quella occasione), il Partito socialista risultò il primo partito, al secondo posto arrivò il Partito popolare.
C’era un paese che usciva dalla guerra e che doveva cambiare, trasformarsi… All’epoca la sinistra, chiamiamola così, ebbe una grande occasione, ma la perse. Tre anni dopo, nel 1922, il fascismo conquistava il potere.
Oggi si ricorda l’occupazione delle fabbriche, che viene vista come un errore, si dimentica però quali fossero i contenuti delle proposte di riforma, che prevedevano la riduzione dell’orario, la salvaguardia e la valorizzazione del sindacato, che aprivano a una partecipazione dei lavoratori. Purtroppo, ahimè, ci si frantumò, ci si indebolì e il resto della storia lo conosciamo.
Comunque, agli atti della storia, è rimasto anche che a un certo punto ci fu la votazione per sapere se si doveva fare o meno la rivoluzione! E naturalmente il partito socialista si affidò al sindacato, che non voleva certo fare la rivoluzione, perché il sindacato è sempre stato riformista. Il sindacato italiano ha questo straordinario gene della solidarietà e poi non è mai caduto nel corporativismo, perché ha avuto l’intuizione delle camere del lavoro, delle società di mutuo soccorso.
Il sindacato, anche in momenti più difficili, ha avuto uno spirito riformista.
Un’altra tappa fondamentale è stata quella degli anni Quaranta quando il sindacato, che è unitario, diventa protagonista nella lotta della Resistenza e contribuisce a che l’Italia venga liberata dal fascismo e dal nazismo; il sindacato è anche uno dei padri della Costituzione. Anche qui, parliamo di un soggetto che non chiede, ma conquista -assieme alle altre forze- la Costituzione.
Il sindacato quindi è protagonista nella ricostruzione del nostro paese. Addirittura, ho ritrovato delle carte che testimoniano come il sindacato fosse stato mandato dai partiti e dal governo a Parigi, ai negoziati per la pace, in cui ovviamente vigevano giudizi molto severi nei confronti del nostro paese; ecco, il sindacato italiano fece valere l’impegno, anche i caduti, dei partigiani, dei lavoratori, e alla fine le clausole economiche vennero ammorbidite, nonostante la posizione contraria da parte dell’Inghilterra e dei sindacati inglesi. Fu Lizzadri, l’allora rappresentante del sindacato unitario, a tenere il discorso.
Anche quando il governo De Gasperi invitò i socialisti e i comunisti a uscire dal governo, Togliatti -lo ricordo sempre- disse: “Siamo fuori dal governo, ma siamo nella Costituzione”. Questa capacità, questo senso comune, questa solidarietà delle forze antifasciste non è una cosa da archiviare nelle soffitte, rappresenta davvero un elemento costituente di questo paese.
L’altra fase critica è stata quella del ’69, dell’autunno caldo: il sindacato era in difficoltà, era ancor ...[continua]
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