Nicola Chiaromonte e Albert Camus assegnarono entrambi un valore preziosissimo alla loro amicizia. E sull’amicizia, come sentimento ma anche come virtù politica, potrebbe essere il titolo della loro corrispondenza, recentemente pubblicata da Gallimard con la cura sapiente di Samantha Novello.
Almeno in parte, la forza di quel loro legame discese dalle circostanze tragicamente eccezionali del loro incontro. Essi si conobbero nella primavera del 1941 in Algeria, dove Chiaromonte era approdato sotto falsa identità nel tentativo -poi riuscito- di raggiungere gli Stati Uniti via Casablanca. Camus, all’epoca non ancora scrittore di successo, e sua moglie Francine Faure, impegnati nelle reti di soccorso agli antifascisti in fuga dalla Francia occupata dai tedeschi, lo ricevettero ad Algeri e lo ospitarono nella loro casa di Orano. Come ricorderà Chiaromonte anni dopo, erano i giorni in cui la “svastica” era arrivata a sventolare anche sull’Acropoli, un’immagine che pareva preannunciargli la sommersione definitiva di ogni valore di umanità e di razionalità per lungo tempo in Europa. Nell’angoscia per la propria impotenza rispetto agli avvenimenti storici in corso -della violenza con cui essi travolgevano i destini individuali, Chiaromonte aveva fatto tragica esperienza con la morte della prima moglie, Annie Pohl, avvenuta in seguito alla precipitosa fuga da Parigi cui la coppia era stata costretta poco prima che l’esercito tedesco entrasse in città- i due giovani intellettuali (Chiaromonte era del 1905, Camus del 1913) ebbero la rivelazione di una vera e propria affinità elettiva. Complice l’inattività forzata cui erano costretti e che consigliava piuttosto di riscoprire la vita nella essenzialità dei suoi elementi -l’amore per il mare, per il sole così fortemente sentito da entrambi- Chiaromonte e Camus si specchiarono l’uno nell’altro trovando infine ragioni di speranza a partire dalla fede comune in ciò che nell’uomo trascende la storia, in quel “piano della coscienza” che dopo l’esperienza dei totalitarismi e gli orrori della guerra sembrerà loro “l’unico piano che ci resta e sia sicuramente nostro” (Camus a Chiaromonte, 15 ottobre 1945). Fu una pausa, uno snodo decisivo nella loro biografia: mentre l’italiano si accingeva a raggiungere New York dove con i suoi testi avrebbe dato un contributo di straordinaria rilevanza alla comprensione di quanto stava accadendo, il franco-algerino avrebbe attraversato in senso inverso il Mediterraneo, per unirsi alla Resistenza francese di cui avrebbe rappresentato la più alta coscienza morale.
Il loro rapporto si sarebbe riannodato dopo la fine del conflitto, senza conoscere più interruzioni fino alla morte, nel 1960, di Albert Camus. E fu una delle ragioni, e non la ultima, per le quali al suo rientro in Europa Chiaromonte scelse inizialmente di stabilirsi a Parigi, piuttosto che di rientrare in patria, a Roma. Come possiamo valutare dalla loro corrispondenza, quella loro amicizia non significò solo sostegno reciproco, e certo non solo in senso materiale e professionale: i pacchi di aiuti che i Chiaromonte facevano pervenire ai Camus nell’immediato dopoguerra, l’interesse con cui i due amici seguivano l’uno il lavoro dell’altro, cercando il franco-algerino di procacciare incarichi a Chiaromonte che gli permettessero di vivere in terra francese, l’italiano svolgendo informalmente un’opera di consulenza costante per quanto riguardava la diffusione in Italia delle opere dell’amico (consuetudine che si sarebbe mantenuta anche dopo la morte di Albert), schierandosi peraltro energicamente a sua difesa in occasione della celebre polemica fra questi e Sartre. Quella sollecitudine l’uno per l’altro era solo la forma esteriore della consapevolezza dell’autenticità di quel loro rapporto di amicizia, della certezza di potersi parlare -anche a distanza- senza rispetto per le cose del mondo e senza possibilità di fraintendimenti. È quanto possiamo apprezzare nelle lettere più “intime” scambiatesi fra i due amici, quelle in cui confessano reciprocamente le sofferenze interiori causategli dalla loro vita coniugale. Quel loro reciproco ascoltarsi non è una indulgente complicità, ma è il riconoscimento dell’altro innanzitutto come soggetto moralmente autonomo. Così avviene anche in merito ai crucci, alle difficoltà che entrambi conoscono nella vita professionale: lo scrittore francese preoccupato che la sua stessa notorietà non nuoccia alla autenticità di un lavoro cui come è noto attribuisce finalità che vanno ben al di là di quelle estetiche; Chiaromonte dopo il rientro in patria sempre più infastidito dal provincialismo degli intellettuali italiani.
Come ben chiarisce Samantha Novello nella sua introduzione, queste pagine ci restituiscono dunque il valore assegnato da entrambi alla philia come antidoto al nichilismo del mondo contemporaneo, come principio correttore di ogni nozione astratta di giustizia e germe di quella società rinnovata in cui entrambi fermamente credono, tentandone peraltro di farne senza grande successo un principio di organizzazione anche politica, almeno in campo intellettuale (si veda come Chiaromonte si adopri per creare un legame fra Camus e altri suoi amici, innanzitutto Andrea Caffi). Non è da questo punto di vista naturalmente un caso che la prima lettera di questa corrispondenza, inviata da Chiaromonte a Camus, sia datata 8 agosto 1945, due giorni dopo il bombardamento atomico di Hiroshima, dimostrazione flagrante per entrambi di un mondo umano “uscito dai cardini”, in cui contro la hybris dei contemporanei, il feticismo della storia e del successo che caratterizza le ideologie dominanti, è necessario restaurare quel senso del limite e della misura, che solo può derivare dalla condivisione delle nozioni più elementari circa il bene e il male.
Sono lettere umanamente intense e letterariamente felici, che ci restituiscono un aspetto della personalità di Chiaromonte, la funzione maieutica che egli volle e finì di svolgere a fianco di personalità di primo piano del Novecento -oltre a Camus, Dwight Macdonald, Mary McCarthy e in fondo gli stessi Silone e Moravia- ancorata alla rivendicazione della ricerca associata, perseguibile a partire da una comunicazione autentica che si dà appunto fra amici, al di fuori della dimensione di massa che spersonalizza gli individui. Per Chiaromonte creare luoghi dove questo dialogo autentico possa darsi, presiedere la sfera del linguaggio è dovere politico proprio degli intellettuali. Per questa ragione, i suoi scritti “esoterici”, privati -in gran parte ancora inediti, come peraltro i suoi taccuini personali conservati alla Beinecke Library di Yale- sono oggi preziosi almeno quanto, talvolta forse di più, dei testi dati alle stampe in vita.
Cesare Panizza
Nella foto di questa pagina: Albert Camus a 23 anni nel suo appartamento di rue Michelet ad Algeri.
A pagina 19, il tesserino da redattore capo di Combat, rivista nata nel 1940 ma uscita dalla clandestinità solo nel 1944. Lui e il suo direttore, Pascal Pia, resteranno in carica fino al 1947.
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