Lavoro a Bruxelles alla Commissione europea, nella Direzione generale delle politiche regionali ed urbane e vorrei raccontare quello che stiamo facendo per far fronte all’emergenza Covid. La Commissione è uno degli organi dell’Ue: per approvare decisioni e regolamenti serve anche l’intervento del Parlamento europeo e del Consiglio costituito dagli Stati membri.
La salute, peraltro, non è una competenza dell’Unione: è rimasta competenza dei singoli Stati.
Dispiace che l’opinione pubblica italiana sembri aver sottovalutato le iniziative prese dalle istituzioni europee e che misure importanti non sempre siano state comunicate in modo adeguato nei giornali.
In realtà, nel giro di poche settimane sono state prese decisioni rilevanti: si è creato un meccanismo di coordinamento per rallentare la diffusione dell’epidemia; per la prima volta sono stati fatti appalti europei per creare uno stock comune di materiale sanitario; si è potenziato il finanziamento della ricerca su virus e vaccino.
Ricorderei soprattutto l’iniziativa della Commissione per mantenere aperte le frontiere interne all’Ue così da garantire il flusso di beni essenziali (ricordiamo quando il Brennero è stato chiuso), e le misure a livello economico. Per la prima volta nella storia del patto di stabilità e crescita, è stata utilizzata la clausola generale di salvaguardia, che permette di allentare le famose regole di Maastricht sui tetti di indebitamento pubblico del 60% del Pil e di disavanzo pubblico annuale del 3% del Pil. A questo si aggiunge la deroga alle regole sugli aiuti di stato al settore privato, che ha aumentato considerevolmente la possibilità di sostenere le imprese in difficoltà. Senza citare la Banca centrale europea, che ha messo a disposizione 750 miliardi per permettere agli stati di finanziarsi a condizioni sostenibili e di cui l’Italia sta già beneficiando. Infine, la Banca europea d’investimento ha ampliato notevolmente le garanzie a disposizione delle imprese.
Ulteriori iniziative sono in discussione: uno strumento per la cassa integrazione, “Sure”, l’utilizzo senza condizioni dei fondi del Mes in campo sanitario ed infine un nuovo fondo per la ripresa e la ricostruzione (nell’ambito del bilancio 2021-2027).

Rispetto alle divergenze sorte in queste ultime settimane tra gli Stati membri, l’impressione, da Bruxelles, è che, più che di una mancanza di solidarietà, soffriamo di una carenza di fiducia da entrambe le parti. Le mozioni del parlamento olandese contro i coronabond fanno paura. Su alcuni giornali europei si è detto che l’Italia stava chiedendo un trasferimento di risorse dal nord al sud Europa; di qui la riluttanza dei paesi del nord. Fortunatamente sembra che queste discrepanze si stiano attenuando e che si vada verso la creazione di un nuovo strumento per il rilancio dell’economia.
La politica regionale e di coesione ha come obiettivi la creazione di posti di lavoro, la competitività, la crescita economica, lo sviluppo sostenibile e il miglioramento della qualità della vita dei cittadini in tutte le regioni e le città dell’Unione europea, riducendone il divario.
Per il periodo 2014-2020 sono stati destinati alla politica di coesione 355,1 miliardi di euro, quasi un terzo del bilancio complessivo dell’Unione, di cui circa 50 miliardi sono assegnati all’Italia, che è il secondo paese beneficiario dopo la Polonia. Questi fondi sono gestiti da autorità italiane a livello regionale e nazionale.
Il 2020 è l’ultimo anno del settennato in corso e le risorse per il 2021-2027 non sono ancora state definite. Pertanto quando la Commissione, all’inizio della crisi, cercava risorse finanziarie per sostenere gli Stati membri nella loro lotta contro il Covid-19, si è trovata con pochi margini. Tra le risorse disponibili vi erano quelle della politica di coesione. È nata così la Coronavirus Response Investment Initiative. La Commissione ha avviato questa iniziativa in tempi record, permettendo un aumento della liquidità immediatamente disponibile agli Stati e una flessibilità sulla tipologia di investimenti da finanziare.

Attualmente le singole regioni stanno facendo una ricognizione dei fondi ancora effettivamente disponibili. Il Governo ha recentemente fatto una proposta ai responsabili dei programmi regionali di dedicare il 20% delle risorse alla misure anti-crisi; si tratta di circa dieci miliardi di euro in totale, che potrebbero però subire una decurtazione, se l’Italia decide di non co-finanziare questi interventi.
La seconda tappa è identificare le misure da finanziare e decidere se lasciare a ciascuna autorità regionale la scelta o se convogliare le risorse su pochi grandi interventi di carattere nazionale. La discussione è in corso.

Dopo l’esperienza di lavoro sulla cooperazione allo sviluppo, mi sono trovata bene a lavorare con l’Italia. Ho incontrato persone che lavorano con passione ed impegno sul territorio. Tuttavia ci si continua a scontrare con la complessità amministrativa e legislativa italiana. Già prima dell’emergenza si era iniziato a discutere della programmazione 2021-27, con gli obiettivi prioritari di rendere l’Europa più intelligente, più verde, più connessa, più sociale e più vicina ai cittadini, affrontando anche la problematica delle scarse capacità amministrative. L’Italia aveva fatto un grande sforzo di consultazione pubblica, aprendo tavoli di discussione su queste cinque priorità. Ora la partita si concentrerà sul rilancio dell’economia post-covid; la speranza è che non si perdano d’occhio sostenibilità e solidarietà.