Che la salute è un bene pubblico e va tutelata in modo universale: la mia salute individuale dipende, sempre di più, in un mondo globalizzato e sempre più interconnesso, dallo stato di salute della popolazione (dal mio vicino di casa, alla popolazione mondiale, nel caso di pandemia); che la sanità e la qualità dei sistemi sanitari fanno la differenza nella salvaguardia della salute pubblica; che i sistemi sanitari con una rete territoriale più efficiente (vedasi Veneto), hanno avuto dei risultati migliori anche nella gestione dell’emergenza epidemica; che la salute di una popolazione ha un impatto diretto sul suo benessere economico; che questa epidemia, oltre ai morti diretti, avrà una ricaduta drammatica sulle condizioni di vita e salute, in particolare, delle fasce più deboli della popolazione.
Prepararci alla fase due: gestire l’epidemia.
È chiaro ormai che l’epidemia del Covid-19 non è un problema che si risolverà nel giro di poche settimane o mesi: dobbiamo attrezzarci per convivere con questo virus, come con altri agenti patogeni che in questi ultimi decenni hanno provocato epidemie più o meno circoscritte a diverse aree geografiche: Ebola, influenza aviaria, Sars, sindrome respiratoria acuta grave. Proprio in riferimento alla epidemia di Sars del 2003, il 5 luglio l’Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato che “l’epidemia di Sars poteva considerarsi contenuta in ogni parte del mondo. Questo però non significa che la malattia sia stata eradicata e che il mondo sia Sars-free: proprio per questo la sorveglianza epidemiologica deve mantenersi elevata”.
Anche nel caso del Covid-19 gli esperti a livello internazionale sono concordi nell’affermare che, per la scoperta del vaccino e la sua messa a disposizione, passeranno molti mesi (alcuni dicono un paio di anni) e durante questo periodo ci saranno probabilmente nuovi focolai. L’isolamento sociale è una soluzione per affrontare la fase di emergenza, ma non può essere mantenuto, almeno ai livelli attuali, per un periodo molto lungo.
Il problema quindi non è tanto “quando si torna alla normalità, ma come”. Il virus Sars-CoV-2 persisterà durante tutto l’anno e in tutto il mondo. “Tutti vogliono sapere quando finirà”, ha dichiarato Devi Sridhar, un esperto di sanità pubblica dell’Università di Edimburgo. “Non è la domanda giusta. La domanda giusta è: come continuiamo?”.
Assistiamo in questi giorni alla messa a punto di diverse iniziative sicuramente importanti, anche se prese a volte in ordine sparso da parte delle diverse regioni: dall’adozione delle mascherine, almeno in ambienti confinati, alla messa a punto di app per segnalare e monitorare le persone entrate in contatto con il virus, all’aumento del numero di tamponi a popolazione più a rischio (fragili e maggiormente esposti).
La domanda che vogliamo porre ai decisori è: “Come il nostro sistema sanitario deve attrezzarsi per gestire questa fase due e, soprattutto, riprendere un ruolo attivo di prevenzione e controllo dell’evoluzione di questa e nuove epidemie?”.
Bene le app, bene le mascherine, bene l’incremento di posti di terapia intensiva, ma fra le app e la terapia intensiva non esiste nulla che il nostro Ssn può fare?
La centralità del territorio e della prevenzione
Fortunatamente abbiamo un sistema sanitario con una rete di servizi e professionisti diffusi su tutto il territorio nazionale: dai Mmg, ai Dipartimenti di prevenzione e Servizi di sanità pubblica, alla rete dei servizi di Cure Domiciliari.
I Sisp (molte volte relegati a servizi burocratici di controllo) hanno nelle loro competenze quella della tutela della salute pubblica. Nei siti delle Asl si legge: “L’Azienda attraverso il Servizio di Igiene e Sanità Pubblica (Sisp), operante all’interno del Dipartimento di prevenzione, svolge le seguenti molteplici attività finalizzate a tutelare la salute della popolazione: 1. la sorveglianza epidemiologica e profilassi delle malattie infettive e parassitarie tramite la convocazione dei pazienti affetti da malattie infettive o parassitarie, dei loro familiari e degli eventuali contatti per indagini e colloqui condotti con la massima riservatezza e il successivo intervento di profilassi se previsto. Tutto ciò a seguito del ricevimento delle notifiche inviate dagli ospedali e dai medici curanti” (Asl Roma 3), in: aslromad.it/UnitaComplessa.aspx?Organizzazione=338
Non sarà il caso di riattivare (direi rianimare) con un’iniezione di risorse u ...[continua]
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