Non c’è un singolo indicatore circa la qualità della vita in cui gli afroamericani non siano svantaggiati: dalla mortalità infantile all’ipertensione, dall’istruzione ai salari, dall’aspettativa di vita a, ovviamente, l’incarcerazione. Non è una vita degna di essere vissuta, il che spiega la rabbia di molti riguardo alle proprie condizioni di vita. Al centro di queste proteste non c’è solo la giustizia per George Floyd e per quelli che l’hanno preceduto, ma il fatto che “quando è troppo è troppo”.
Per quanto riguarda le tensioni fra la comunità nera e la polizia, meravigliosamente raffigurate nel film di Spike Lee “Fa la cosa giusta”, gli uomini in blu sono visti come un esercito occupante. E perché non dovrebbero? La principale causa di morte fra gli afroamericani è ricevere una pallottola dalla polizia; un uomo nero su tre tra i 18 e i 35 anni o sta attendendo di essere processato o marcisce in galera o cerca di tirare avanti in libertà vigilata. Inoltre, uno su tre degli afro-americani che sono stati uccisi dalla polizia erano disarmati. Dal 2005 solo 35 agenti di polizia sono stati condannati in seguito a tali omicidi. Per cui non è stata una sorpresa per la comunità nera scoprire che Derek Chauvin, il poliziotto le cui azioni hanno ucciso George Floyd, era stato oggetto di numerose lamentele da parte dei cittadini senza mai essere punito. Ciò aiuta a spiegare la rabbia che ha accompagnato la sua sentenza di omicidio di terzo grado (invece che di primo grado) e il fatto che gli altri tre poliziotti coinvolti nel caso, indifferenti circa la condizione di Floyd, siano stati incriminati solo adesso. Lo stesso trattamento è stato riservato alla maggior parte degli agenti di polizia che negli anni hanno causato la morte di un cittadino di colore. In breve, il bisogno di un cambiamento radicale è reale, lecito e necessario da tempo.
Tradizionalmente i poliziotti sono considerati degli eroi nei film, nelle serie tv, nei videogiochi e dai politici di destra, e alcuni di loro lo sono, ma di sicuro non tutti e neanche la maggior parte. C’è un costante invito a empatizzare con la polizia: è un lavoro duro, ma se lo sono scelto e i poliziotti sono servitori dei cittadini, non il contrario. Se però l’industria culturale dell’establishment insegna che la polizia è al di sopra della legge non c’è ragione per cui essa non dovrebbe crederlo. Qui è dove entra in gioco il razzismo nel conflitto tra la polizia, che si vede protettrice della legge e chesi aspetta un po’ di tolleranza dalla cittadinanza (bianca), e coloro che sono stati arbitrariamente definiti come indifferenti o peggio alla legge, cioè gli afroamericani.
Sempre di più gli Stati Uniti esibiscono una cultura militarizzata, della violenza, e il Presidente Donald Trump ne fa largo uso. Si sa del profiling razziale che ha avuto luogo a New York e anche dell’omicidio da parte della polizia di Amadou Diallo nel 1999, mentre Rudolf Giuliani, amico del presidente conosciuto anche come “il Mussolini di Manhattan”, era sindaco. Le morti di giovani uomini di colore si accumulano e molti hanno la sensazione che siano cadaveri in licenza. Di fronte a tutto questo è facile per alcuni elementi della comunità nera e altre persone di sinistra con inclinazioni anarchiche cadere nella violenza a cui dovrebbero opporsi e che è diventata evidente in queste proteste.
La violenza non è un simbolo su cui discutere, ma una realtà da evitare: le persone si fanno male, le attività commerciali vengono rovinate, i ragazzi arrestati e la catarsi è sempre passeggera. Sono sempre i più vulnerabili -le persone di colore- a venir feriti, a guardare le loro imprese bruciare, a essere arrestati. Mi è stato riferito di alcuni messaggi su Twitter riguardo a una donna che cercava di impedire che alcuni ragazzi bianchi istigassero alla violenza fuori da Baltimore Hall, una residenza per studenti. La donna diceva a ...[continua]
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