è Pasqua, ma è una Pasqua diversa dalle altre. Osservo una coppia intenta a decorare con dei fiori la croce davanti a una chiesa che non so nemmeno se verrà aperta. Una signora anziana arriva in taxi per partecipare alla funzione della cattedrale cattolica. Sono pochissimi i membri della congregazione lì davanti. Il paesaggio è desolante, rischiarato da un sole che s’affaccia timidamente. C’è stato un tempo in cui la fila delle macchine parcheggiate avrebbe riempito tutta la strada. Oggi non è così, e mi viene da pensare che, comunque, con le mascherine, non ci saranno i soliti canti religiosi. È come se, insieme alla pandemia, fossimo stati pervasi da un involontario puritanesimo.
Ci restano le tradizioni pagane a rallegrarci. Hot cross buns [panini dolci con uvetta, un dolce pasquale inglese, ndt] a colazione e, a dispetto di quanti anni abbiano ormai i figli, la consueta “caccia al tesoro” delle uova di Pasqua.
Già, almeno sono riuscita a comprare le uova di cioccolato in tempo! Tanti prodotti, in questo paese, sono ormai andati esauriti. Ci sono stati momenti in cui nei supermercati non si trovavano più pasta, frutta fresca, vegetali e -forse il caso più eclatante- rotoli di carta igienica, e tutto a causa della corsa all’accaparramento del primo lockdown. È stato un periodo deplorevole. Ci siamo riscoperti una nazione egoista, soprattutto quando è venuto fuori che il personale infermieristico, costretto a lunghi turni nei reparti Covid, al ritorno a casa non trovava più cibo nei negozi. Era ormai da un anno che non svuotavamo più gli scaffali, fino a quando, negli ultimi giorni prima di Pasqua, nei negozi sono finite le uova di cioccolato.
Gli inglesi, o perlomeno quelli tra noi che se lo potevano permettere, avevano deciso di rendere questa Pasqua molto, molto speciale. Quest’anno abbiamo speso in leccornie pasquali cinquanta milioni di sterline in più dell’anno scorso, e anche la vendita di prodotti legati ai lavoretti fai-da-te pasquali è salita del 207%. È come se questa Pasqua fosse diventata un nuovo Natale o forse, dato che i bambini sono finalmente tornati a scuola e, dopo due settimane, sono arrivate le prime vacanze, queste feste sembrano portare una nuova normalità, il primo assaggio da qualche mese a questa parte; questo, sicuramente, meritava degni festeggiamenti.
Ma dubito che i tanti insegnanti esausti e demoralizzati abbiano le energie per festeggiare durante queste feste. Nelle trincee delle classi le cose non vanno bene.
“C’è un sentire comune tra di noi -mi dice una giovane insegnante di scuola media mia vicina di casa- è come se fossimo intrappolati in una corrente in cui bisogna continuare a nuotare. Non c’è tregua”. Il carico di lavoro è così intenso, spiega, che “per quanto ci possiamo impegnare, non riusciamo a fare un buon lavoro. Chiunque voglia offrire una didattica di qualità si ritrova nell'impossibilità di farlo. Sei continuamente spinto a fare di più. C’è una pressione terribile. Il governo ha introdotto il tracciamento della frequenza e del coinvolgimento degli studenti”. Se uno studente non parla mai durante la lezione, gli viene assegnato uno “zero” in coinvolgimento.
Come in tutte le burocrazie, tutto si riduce a una serie di numeri e codici, senza alcuna considerazione per le circostanze, che sono davvero pesanti. Ma anche questo, cioè che il governo consideri solo il parlare (naturalmente!) come segno di impegno, fa parte della nostra nuova Gran Bretagna polarizzata, che con tanta facilità ha abbandonato ogni concetto di sfumatura; è evidentemente impensabile che un ragazzino possa appassionarsi anima e corpo a una materia pur restando in silenzio, o che ci possano essere valide ragioni, in epoca di emergenza nazionale, dietro l'assenza o il silenzio di uno studente.
Questo tracciamento del “comportamento” e dell’“atteggiamento” avvantaggia una sola precisa tipologia di studente, risultando punitivo per quelli che invece o non sono tanto bravi a comunicare sulla piattaforma online di Microsoft Team o, magari, convivono con una difficoltà di apprendimento (per esempio l’autismo o il mutismo selettivo) o, ancora, non hanno a disposizione le attrezzature informatiche necessarie per accedere a questi nuovi sistemi didattici. Magari sono costretti a condividere il computer con altri familiari o hanno connessioni scarse -ammesso che le abbiano, delle connessioni a banda larga. Nella classe d’età della mia vicina insegnante, quaranta ragazzini ...[continua]
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