la vita a Hong Kong è cambiata in modo straordinario nell’ultimo anno. Stavo per scrivere che la superficie delle cose è rimasta la stessa, e che quello che è cambiato è nell’atmosfera, ma non è più vero nemmeno questo. Oggi negli angoli più imprevisti di Hong Kong si trovano delle improvvise bandiere rosse con le cinque stelle, la bandiera nazionale cinese -a cui bisogna portare rispetto, dal momento che è stata sacralizzata con una nuova legge che prevede pene detentive per chi dovesse disonorarla. Anche cantare l’inno storpiandolo è punibile per legge, e così siamo circondati da bandiere e inni nazionali e quando l’una sventola o l’altro risuona bisogna essere un po’ circospetti. Certo è che l’inno e la bandiera sono presenze sempre più costanti: io ho un vicino molto solerte, che ad ogni occasione mette fuori dalla porta una bandiera nazionale molto grande, e una un po’ più piccola, che è la bandiera di Hong Kong. Quella è sempre rossa, ma invece delle cinque stelle gialle ha un fiore bianco stilizzato nel mezzo, con una stellina su ognuno dei cinque petali. Con gli altri vicini, quando le bandiere sono esposte, ci guardiamo un po’ perplessi, ma sono sguardi muti che potrebbero essere interpretati in vari modi. Poi le bandiere vengono tolte, e si tira un sospiro di sollievo collettivo: è andata, nessuno ha mancato di rispetto alla bandiera, neanche per sbaglio.
Per tornare a casa devo passare davanti a un centro commerciale che quando aprì aveva deciso, forse per grandiosità, di esporre due bandiere, che venivano innalzate e ammainate senza troppe cerimonie. L’altro giorno sono passata lì davanti mentre stava tramontando il sole, e per la prima volta ho visto che adesso ad ammainare la bandiera sono in due: tutti impettiti e quasi timorosi, la piegavano con un sacco di svolazzi e le spalle ben diritte, e quasi mi aspettavo di vederli marciare con il passo dell’oca come i soldati dell’Esercito di Liberazione. Solo che questi sono due impiegati del centro commerciale, anche un po’ anzianotti, e vederli così preoccupati dispiace.
Il fatto è che, per quanto ci siano già state denunce, processi e incarcerazioni per aver mancato di rispetto alla bandiera, uno dei problemi è che la popolazione di Hong Kong non ha le idee molto chiare su come dovrebbe comportarsi: quando Hong Kong era una colonia britannica, per esempio, a nessuno era stato chiesto di imparare a cantare “God Save the Queen”. Insomma, se capitava di storpiare l’inno britannico per scherzo o per altro, non succedeva niente. Londra non pretendeva di essere amata: Pechino sì.
Infatti anche nei discorsi ufficiali, che sono sempre più frequenti -una volta da parte del Capo dell’Esecutivo, un’altra da parte dei vari rappresentanti del governo centrale che si trovano a Hong Kong- si parla molto di amore. L’amore che Hong Kong deve mostrare nei confronti della madrepatria, e che fino ad ora non ha saputo offrire con sufficiente convinzione. E così, ecco che la televisione insegna ad amare la patria, con la bandiera che svolazza sugli schermi prima del telegiornale, con vari programmi educativi patriottici. Anche la radio deve trasmettere l’inno diverse volte durante il giorno e ha pure sostituito alcune trasmissioni di attualità con programmi patriottici.
Lo spartiacque è stata la Legge sulla Sicurezza Nazionale, imposta a Hong Kong da Pechino il 30 giugno dello scorso anno. Da allora non passa settimana senza che succeda qualcosa di enorme. Ma nessuno è in grado di affrontare qualcosa di enorme ogni settimana, per cui ci si annebbia un po’; è come se fossimo parzialmente anestetizzati.
Hong Kong è traumatizzata, ma non c’è modo alcuno di smaltire il trauma, perché appena si riesce a riconoscere che di questo si tratta, ecco che un nuovo trauma si è già sovrapposto al precedente.
La battaglia per conquistare l’amore di Hong Kong sta passando anche per un tentativo di rimuovere la memoria. Il Museo di Storia è attualmente chiuso, dato che è stato deciso che andava rifatto. A scuola il curriculum storico ora è stato modificato, e vengono utilizzati gli stessi libri adottati nella Cina continentale.
Si cerca di estirpare (e di rendere illegale) anche la memoria più sacra a Hong Kong: il ricordo del 1989 e della sanguinosa repressione delle manifestazioni che si tennero a Pechino e in molte altre città cinesi; una memoria proibita in Cina, ma che è stata tenuta viva a Hong Kong per tutto questo tempo.
Ora, anche se la legge in ...[continua]
Esegui il login per visualizzare il testo completo.
Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!