nel 1972, David Bowie (il leggendario David Bowie) scrisse una canzone che è ancora di un’attualità agghiacciante per il nostro presente. Ricordo che l’ascoltavo ossessivamente all’epoca in cui avevo appena lasciato casa dei miei e mi ero sistemata con un materasso gettato a terra nella camera da letto del mio padrone di casa; lavoravo nel grande magazzino Selfridge, dove sparecchiavo i tavoli. “Five Years”, la traccia iniziale dell’album “The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars”, è una ballata sulla fine del mondo che prefigura il nostro futuro più prossimo. “Facendomi largo nella piazza del mercato, c’erano tante madri in lacrime”, aveva scritto Bowie. “Era appena arrivata la notizia, per piangere ci rimanevano solo cinque anni”. La canzone prosegue descrivendo le reazioni della gente, a cominciare dal giornalista che al tg, in lacrime, afferma che è proprio vero, la Terra sta morendo. Mai, nemmeno una sola volta, mentre ascoltavo questi versi nei primi anni Ottanta, ho pensato che nel corso della mia vita mi sarei trovata a vivere i fatti narrati in questa canzone.
Il Climate change committee (Ccc), ente indipendente che monitora il cambiamento climatico e fornisce consulenze al governo britannico, ha affermato che il governo è intenzionato a tagliare appena il 40% del totale delle emissioni che sarebbe necessario eliminare per ottenere il “net zero”, le emissioni nette zero. Come era prevedibile, davanti a questa scadenza il governo è latitante, in un momento in cui una simile mancanza costituisce una follia immane. Il danno provocato da questa negligenza, da questa incapacità di tenere alto il livello di competenza e di volontà per risolvere il problema equivale a una minaccia alla sopravvivenza della nostra civiltà e della nostra specie. Il report di aggiornamento fornito dal Ccc ha evidenziato le carenze della politica in aree come l’efficientamento energetico e il settore agricolo, che rischiano di vanificare ogni sforzo per ridurre l’emissione dei gas serra. Avremmo bisogno di capacità di immaginazione, di coraggio, di impegno, di competenza e cooperazione; non abbiamo nessuna di queste cose, e invece ci ritroviamo governati da un partito conservatore corrotto, bugiardo, incompetente, immorale e sommerso dagli scandali. Perdonatemi se appaio disperata al cospetto di questo governo disumano che prosegue nel suo lavoro di distruzione di tutto ciò che di buono rimaneva di questo paese e che ci trascina come lemming verso il ciglio di quel burrone che è la crisi climatica.
A proposito di speranza, o meglio, della sua assenza, ho trascorso la mattinata con un gruppo di giovani adolescenti in una scuola privata, ben finanziata, vivace e attenta alle arti, ciononostante nemmeno essa immune alle miserie indotte dalla pandemia che costringono a ridurre l’offerta anche a chi ha il privilegio di potersi permettere scuole che costano 17.000 sterline l’anno. Ho chiesto a questi giovani di pensare a come sarebbe stato svegliarsi una mattina e rendersi conto di trovarsi nel 2035. Un anno carico di significato, in quanto indicato come l’anno dell’ultima speranza. Se noi, come specie umana, non saremo entro quella data riusciti a ridurre le emissioni, dovremo dire addio agli incrementi dell’ordine di 1,5-2 gradi… saremo oltre ogni speranza di salvezza; non parliamo più solo della nostra estinzione, ma anche di quella di migliaia di specie innocenti che verranno sicuramente spazzate via se non agiamo ora.
La mia proposta a quei giovani è stata di provare a immaginare cosa potrebbe voler dire essere un tassista, uno studente, una neo-mamma, un anziano, un albero, un oceano o una foresta in quel giorno del 2035 in cui avremo fatto tutti i conti sulla riduzione delle emissioni effettivamente realizzate, e scoperto se effettivamente abbiamo ancora una qualche speranza di sopravvivere. Allora sarà il momento del nostro “farci largo nella piazza del mercato”, l’anno in cui “Five Years” sarà realtà. La prima reazione di questi ragazzi è stata decisamente nichilista, se consideriamo il fatto che per quella data loro ci saranno sicuramente ancora. Ancor più degli scenari da loro immaginati -il cannibalismo, una più realistica carestia di massa- è stato il loro atteggiamento a colpirmi: non sembravano arrabbiati, il 2035 era per loro una data lontanissima, erano tristi, sì, e rassegnati, ma con un certo senso di impotenza, quella stanchezza inerme da cui dipendono le sorti dei ...[continua]
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