Come milioni di americani, sono rimasto incollato allo schermo televisivo a guardare le audizioni del Comitato speciale della Camera dei Rappresentanti sul tentativo di colpo di Stato del 6 gennaio 2021: emozionato, arrabbiato, spaventato, non sono riuscito a distogliere lo sguardo. Ma avrei potuto cominciare questo articolo in un altro modo. A differenza di milioni di americani, sono rimasto incollato allo schermo della tv... Molti di coloro che non hanno guardato erano al lavoro (tutte le udienze si tenevano di pomeriggio), alcuni erano indifferenti; ma per milioni di persone, ancora una volta, il non guardare la tv è stato deliberato, programmatico, un esplicito rifiuto di sostenere in qualsiasi modo questo attacco ai “patrioti” del 6 gennaio. Chi ha guardato e chi si è rifiutato di guardare: ecco l’America divisa.
Per quelli di noi che hanno guardato, e soprattutto per i liberal di sinistra come me, ci sono stati momenti straordinari, rivelatori e istruttivi. Abbiamo imparato a conoscere gli uomini e le donne che hanno fermato il colpo di Stato, che hanno detto no a Donald Trump -uomini e donne integri e coraggiosi, molti dei quali hanno avuto e tuttora hanno posizioni politiche che trovo ripugnanti. È davvero possibile credere in uno Stato laissez faire che ostacola la sindacalizzazione, rifiuta qualsiasi politica redistributiva che non arricchisca i già ricchi, che non fornisce alcuna assicurazione sanitaria, che non fa nulla per fermare il riscaldamento globale, e tuttavia sostenere con fermezza una transizione costituzionale che insedia un presidente con progetti completamente diversi? Sì, ci sono stati uomini e donne che sono rimasti saldi, e spesso non erano quelli che noi (sinistra liberale) ci aspettavamo.
È importante dire che dal novembre 2020 al gennaio 2021 il centro ha tenuto; la democrazia è sopravvissuta. Le forze armate e tutte le agenzie di sicurezza, lo “Stato profondo”, hanno sostenuto la transizione costituzionale; migliaia di americani, di destra e di sinistra, hanno contato e ricontato le schede elettorali e hanno insistito per ottenere un conteggio corretto; i funzionari statali si sono rifiutati di manomettere i risultati; i giudici nominati dai presidenti democratici e repubblicani si sono pronunciati più volte contro i ricorsi degli avvocati di Trump. Persino il vicepresidente, che per quattro anni era sembrato infinitamente obbediente e ossequioso, è riuscito all’ultimo minuto a fare la cosa giusta.
Eppure, le udienze ci hanno mostrato in modo spaventosamente dettagliato quanto siamo stati vicini al disastro politico, quanto fragile possa essere la democrazia. Il narcisismo di Trump e la sua demagogia sono solo, per così dire, la copertina della storia, i primi paragrafi. Il resoconto complessivo include il gran numero di americani bianchi e religiosamente conservatori che credono che il “loro Paese” sia stato loro sottratto, che è in atto una “sostituzione” che li vede rimpiazzati da un assortimento di elitari, socialisti, ebrei, immigrati, musulmani e messicani, tutti organizzati dal Partito democratico, a cui bisogna opporsi, se necessario con la violenza. Il risentimento plasma la politica di troppi americani. Trump è il loro leader e loro le sue truppe di terra. Alcuni di loro pensano che il 6 gennaio sia stata solo una prova generale per una futura presa di potere autoritaria.
Ma in questo momento mi preoccupa di più il Partito repubblicano, uno dei due unici partiti del nostro sistema politico, metà del Paese, che è stato preso in mano dai trumpisti o, forse meglio, da politici che credono di poter cavalcare l’onda del risentimento razzista e religioso per raggiungere il potere politico.
Molti di loro probabilmente non credono che i bianchi americani siano stati “rimpiazzati”, né adorano realmente il Leader, ma percepiscono la possibilità di prendere il controllo del Paese anche se non riescono a conquistare i voti della maggioranza dei loro connazionali. Sono persone in cerca di potere e che hanno perso fiducia nella democrazia. Hanno gli stessi progetti di destra degli uomini e delle donne che ho già descritto e che hanno detto no a Trump, ma senza la loro integrità. In Trump e nei suoi seguaci vedono un’opportunità politica.
I giudici della Corte Suprema di estrema destra, ora maggioranza della Corte, hanno il loro programma, di cui non posso parlare in questa sede, ma stanno dimostrando di sostenere il trumpismo senza crederci veramente. Immagino che il tentativo di colpo di Stato li abbia messi a disagio, ma le loro recenti sentenze hanno certo rallegrato i seguaci di Trump e rafforzato la percezione dei repubblicani che il potere sia a portata di mano. La prossima significativa sentenza della Corte, prevista per l’autunno, probabilmente convaliderà molte delle nuove leggi elettorali progettate dalle legislature statali controllate dai repubblicani per ridurre la partecipazione degli elettori neri e poveri. La sentenza potrebbe garantire sconfitte democratiche per decenni a venire. Negli Stati repubblicani, i funzionari che hanno insistito per tutelare l’integrità delle elezioni del 2020 sono stati sostituiti da persone convinte che le elezioni siano state rubate e che le prossime dovranno produrre il risultato “giusto”. Gli americani che si impegnano per la democrazia hanno tutte le ragioni per preoccuparsi.
Le audizioni sono volte a rispondere alle nostre preoccupazioni. Cosa dobbiamo sperare da esse?  Poiché gran parte della politica americana di questi tempi offre poche speranze, forse nutriamo troppe aspettative verso questo Comitato speciale: speriamo in una vittoria legale sul trumpismo e anche in una vittoria politica. La maggior parte delle persone con cui parlo ogni giorno di politica si concentrano sull’aspetto legale; vogliono vedere Trump incriminato e assistono con impazienza all’apparente riluttanza del procuratore generale Garland a iniziare il processo legale. A loro sembra ovvio che Trump abbia cospirato per rovesciare le elezioni del 2020 e che abbia incitato la violenza della folla il 6 gennaio. Io sono scettico, non sulla colpevolezza di Trump (le udienze hanno presentato un caso straordinariamente persuasivo), ma piuttosto sulle prospettive di successo legale. Le leggi sulla cospirazione e sull’istigazione sono complesse e aperte all’interpretazione legale. Non è chiaro se le sottigliezze delle argomentazioni sentite in aula avrebbero risonanza presso un vasto pubblico o presso una giuria di coetanei di Trump; un verdetto di colpevolezza, se dovesse arrivare, verrebbe appellato e c’è comunque un’alta probabilità che il verdetto venga ribaltato da giudici conservatori a qualche livello del sistema federale. Il Paese ha tratto beneficio dalle sentenze di novembre e dicembre 2020 sulle frodi elettorali. La cospirazione e l’istigazione sono questioni molto più complesse. Ora il processo sarebbe rischioso: si pensi alla possibilità che Trump venga assolto e trionfi.
Ma c’è un altro motivo di scetticismo rispetto al portare Trump in tribunale. Ricordiamo le elezioni del 2016 e l’appello, incoraggiato da Trump, “Rinchiudetela!”. Il motivo immediato per mandare in galera Hillary Clinton era la faccenda delle sue email. Non l’ho mai capita bene; di certo non si trattava di qualcosa di così grave come la cospirazione e l’istigazione. Ma quelle grida segnalavano una specifica ambizione: vincere le elezioni e mandare in prigione l’avversario. Nella lunga storia delle successioni e delle transizioni politiche, la prigione e la morte erano il destino comune di re e regine rovesciati, pretendenti al trono sconfitti, oligarchi e cortigiani che perdevano nella lotta per il potere. La politica era un’attività ad alto rischio. Il liberalismo e la democrazia sono stati concepiti per ridurre i rischi: se si perdono le elezioni si va a casa. Mi piace l’idea di una politica a basso rischio e quindi diffido di appelli tipo “Rinchiudetelo!”. Mandare Trump in prigione potrebbe essere un trionfo della giustizia, ma potrebbe anche essere un pessimo precedente politico.
D’altra parte, i crimini di Trump non hanno precedenti nella storia americana e forse neanche nella storia delle democrazie occidentali, quindi forse questo è il momento di tracciare un confine. Non manderemo in galera i presidenti sconfitti per nessuno dei comuni peccati politici; comprendiamo la forza dell’affermazione dell’Hoederer di Sartre in Mani sporche, secondo cui nessuno può governare in modo innocente, e promettiamo di non perseguire i normali “cali di innocenza”, per così dire. Si potrebbe dire che Trump, tuttavia, è un’eccezione; non possiamo lasciarlo libero. Potrebbe essere giusto.
Tuttavia, temo che non sarà facile tracciare una linea di demarcazione abbastanza chiara da convincere gli americani che l’incriminazione di Trump è un’eccezione necessaria alla normale politica democratica e non un esempio di rozza partigianeria. Un Trump disonorato e sconfitto sarebbe probabilmente meglio di un Trump incriminato.     
Ma tale disgrazia e sconfitta sono davvero all’orizzonte? È difficile giudicare l’effetto delle audizioni del Comitato speciale. Alcuni sondaggi mostrano solo un leggero spostamento del sentimento contro Trump; alcuni studi basati su focus group suggeriscono uno spostamento molto più ampio. Trovo difficile credere che molti elettori indipendenti e repubblicani inquieti, tra coloro che hanno guardato la tv, non siano rimasti inorriditi o almeno turbati dalla testimonianza di tanti trumpisti disillusi. Si potrebbe dire che il primo obiettivo politico del Comitato sia stato quello di dare a uomini e donne che hanno votato per Trump una via d’uscita; possono unirsi ai funzionari e ai dipendenti che alla fine (in ritardo, direi) hanno detto no. È la cosa più onorevole da fare e anche, in questa fase, relativamente facile. Le persone che si sono rifiutate di assistere alle udienze sono una causa persa, ma è sufficiente una piccola rivolta contro Trump per salvarci dalla catastrofe di un secondo mandato (nell’ipotesi di elezioni libere e regolari nel 2024). Più di così mi sembra che non possiamo aspettarci.
A questo punto di una triste analisi politica, è consueto invocare la frase di Max Weber: la politica è “il lento e tenace superamento di dure difficoltà”. Gli americani come me hanno davanti a sé una lunga battaglia contro una pericolosa politica di estrema destra.