Una Città n° 314 / 2025
ottobre-novembre
“Mi sono molto meravigliato come alcune delle persone che sono andate a Sarajevo con i ‘Beati i costruttori di pace’, nel dicembre scorso, siano tornate da quella esperienza estrema e singolare, di grandissimo significato umano,
con lo stesso discorso aprioristico che facevano prima, e con lo stesso atteggiamento solo declamatorio sul valore universale della pace e dei diritti umani. A differenza delle testimonianze assai veraci e problematiche di alcuni
partecipanti... altri reduci da Sarajevo non apparivano intaccati più di tanto dal fatto che i bosniaci assediati chiedano disperatamente un aiuto contro gli aggressori assedianti (e armi per difendersi da sé, se l’aiuto esterno non viene). Una sanguinosa epurazione etnica a suon di massacri, stupri, deportazioni e devastazioni va avanti a tappeto...
Tutto questo non può trovare come unica risposta l’invocazione astratta della nonviolenza...
Preferisco il pacifismo concreto, con dei partner concreti...”
Alexander Langer (“Aam Terra Nuova”, 6 aprile 1993)
ottobre-novembre
In copertina
La vittoria di Mamdani a New York
Il socialismo delle fognature
Sull’elezione di Mamdani
intervista a Michael Kazin
Un’altra Israele?
di Rimmon Lavi
L’appello di Marek Edelman
durante la Seconda intifada
di Marek Edelman
Guerre giuste e ingiuste
Michael Walzer in dialogo con Wlodek Goldkorn e Stefano Levi Della Torre
L’Europa muore o rinasce a Kyiv
Di guerra e pace, rileggendo Alex Langer
di Marco Boato
Potete tenere la linea aperta?
Sul Verona Forum e la guerra nei Balcani
intervista a Marijana Grandits
Perché perdi tempo con noi?
Sull’adolescenza e la devianza
intervista a Maria Mori
Un movimento Lgb per il realismo
Movimento omosessuale e teoria queer
intervista a Giovanni Dall’Orto
Un fratello tutsi e uno hutu
Sul genocidio del Rwanda e il dopo
intervista a Yolande Mukagasana
Il vuoto
Sulle nuove scoperte e il loro impatto
intervista a Guido Tonelli
Norberto Bobbio tra politica e cultura
di Alfonso Berardinelli
Non siamo tutti galileiani
di Michele Battini
In ricordo di Giuliano Vassalli
di Matteo Lo Presti
Ucraina mutilata
di Massimo Livi Bacci
La caduta di Bamako
di Vicky Franzinetti
L’Inghilterra non è Dallas
di Belona Greenwood
La visita è alla tomba di Yitzhak Rabin
Dedichiamo la copertina e l’intervista a pagina 3 alla vittoria di Mamdani a New York. Finalmente un raggio di luce nel tetro buio che ha avvolto il mondo. Che poi, proprio in America, da dove è bandita da tempo, venga pronunciata la parola “socialismo”, anche se solo “delle fognature” (il che non lo rende meno nobile, anzi) è ancora più incoraggiante. D’altra parte possiamo veramente pensare che il potere, nel futuro dell’umanità, possa restare nelle mani di un’oligarchia onnipotente e “internazionalista” e di regimi fascisti o di democrazie autoritarie e corrotte? E che la prospettiva realistica per la gente comune sia quella di passare la vita chinata a raccogliere briciole di pane e di potere? Noi pensiamo, e vogliamo pensare, che la socialdemocrazia, il socialismo liberale, non siano affatto cose del passato. Tutt’altro. E che il binomio “giustizia e libertà” resta e resterà l’ideale più nobile concepito dall’umanità.
L’amico Rimmon, da Gerusalemme, si chiede se dopo quello che è successo ci sarà un’altra Israele, così come ci fu “un’altra Germania” dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Ma con la differenza, aggiunge, che la Germania era distrutta, che aveva, cioè, “pagato”. Nessuno di noi può e deve augurarsi che Israele “paghi”, perché vorrebbe dire la sua fine e non la sua rinascita. E allora? Allora non resta che la resistenza. Avevamo già scritto, tempo fa, che forse stava tornando un tempo di guerre civili. L’assalto al Campidoglio era stato un segnale sinistro. Sempre Kazin, in un’intervista precedente, ci aveva rassicurato sulla “tenuta” della democrazia americana e delle sue istituzioni. Vedremo. Riguardo a Israele e alla Palestina ci auguravamo che una guerra civile incruenta scoppiasse sia fra gli israeliani che fra i palestinesi.
Sappiamo di ebrei israeliani che stanno venendo via. Non sta certo a noi giudicare scelte così radicali e dolorose, degne del massimo rispetto. Ma ci chiediamo se altro stia succedendo. Ci sono stati soldati che hanno disobbedito? Si sta organizzando una resistenza civile alla pulizia etnica? Le organizzazioni di ebrei israeliani che aiutavano i palestinesi si stanno rafforzando o sono state travolte dalla guerra? E anche lì: la democrazia e le sue istituzioni sono in pericolo?
Apriamo una parentesi sul “diritto alla resistenza” in democrazia. È un diritto sacrosanto, riconosciuto in molti paesi, fra cui, e non a caso, la Germania. Se la maggioranza, eletta democraticamente, decide di cambiare uno o più punti fondamentali del patto costitutivo della comunità, un gruppo di cittadini oppure un cittadino, foss’anche da solo, ha il diritto di ribellarsi e iniziare una resistenza, con ogni mezzo. Del resto, la paura della dittatura della maggioranza in America è sempre stata, almeno fino a ora, un’ossessione. D’altra parte: ci si può limitare a “dissentire” democraticamente dal varo di leggi razziali, o dalla decisione di sterminare una minoranza etnica? Ci si può solo accontentare di criticare un governo criminale? No, non è neanche pensabile.
Nella Costituzione italiana il diritto alla resistenza non è stato sancito. E chi l’aveva sostenuto? Aldo Moro e Giuseppe Dossetti! E chi si oppose? Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti, con la giustificazione formale che quel diritto era implicito, ma con quella sostanziale che il popolo italiano, avendo aderito al fascismo, non era maturo per avere in mano un tale diritto. Da qui, fra l’altro, il paternalismo centralista che da sempre pesa come un macigno sulla Repubblica italiana.
Un’ultima osservazione: ribellarsi al proprio paese vuol dire tradirlo? Non sapremo mai quanti tedeschi, pur disapprovando quel che succedeva, “restarono tedeschi”, quanti soldati, pur odiando quel che erano costretti a fare nei boschi della Polonia, non fecero obiezione di coscienza per non tradire il giuramento di fedeltà alla patria. Ora, stante il principio, per noi fondante, che si è prima uomini e donne giusti e poi, solo e sempre poi, si è tedeschi, italiani, israeliani, chiediamo: chi è più patriota fra chi, in carcere per antifascismo, spesso vittima di tortura, gioiva sentendo il rumore degli aerei alleati che venivano a bombardare l’Italia o chi, anche solo per fedeltà alle alleanze, accompagnò i tedeschi nelle stragi di uomini, donne, bambini italiani ed ebrei?
Nel numero, poi, con Marco Boato, Umberto Cini e Marijana Grandits ricordiamo l’impegno di Alexander Langer contro la guerra etnica dei Balcani. S’era convinto, lui fermo sostenitore della nonviolenza, che solo un intervento armato poteva rompere il terribile assedio di Sarajevo e per questo fu abbandonato dalla stragrande maggioranza dei “suoi”. Una storia tristissima perché poi, di lì a poco, e pochi giorni prima di Srebrenica, Alex ci avrebbe lasciato.
Ricordiamo poi il genocidio in Rwanda con Yolande Mukagasana, già vincitrice del premio Langer.
Poi riportiamo il dibattito sulle “guerre giuste e ingiuste” avvenuto al 900fest fra Michael Walzer, Wlodek Goldkorn e Stefano Levi Della Torre. Continuiamo a discutere di baby gang e di bullismo con Maria Mori; di sesso e genere con Giovanni Dall’Orto, già presidente dell’Arcigay di Milano; poi parliamo di “vuoto” con il fisico Guido Tonelli. Infine: Alfonso Berardinelli ci parla di Norberto Bobbio, Michele Battini del perché “non siamo tutti galileiani”, Matteo Lo Presti del grande giurista Luciano Vassalli, Massimo Livi Bacci di demografia e Ucraina, Vicky Franzinetti degli jihadisti che stanno conquistando il Mali e Belona Greenwood della repressione, in Inghilterra, di ogni “azione diretta” di protesta.























