Nell’agosto 2002 Marek Edelman decise di scrivere un  Appello a tutti i comandanti delle organizzazioni militari, paramilitari e di guerriglia palestinesi; a tutti i soldati delle organizzazioni combattenti palestinesi.   
Il contesto storico è quello della Seconda intifada (2000-2005), fra attentati palestinesi contro gli israeliani e le  rappresaglie degli israeliani contro i palestinesi; si parla di almeno tremila palestinesi e oltre un migliaio di israeliani uccisi, ma le cifre variano a seconda delle fonti.
Edelman è stato il comandante in seconda della rivolta nel ghetto di Varsavia, più tardi  esponente dell’opposizione democratica in Polonia e una voce importante nella difesa di Sarajevo assediata. Era un uomo di sinistra, un avversario di tutti i nazionalismi, anche di quello ebraico israeliano. Ma prima di tutto era un medico che cercava di salvare le vite degli umani. Erano le vite degli uomini e donne in carne e ossa e non le ideologie la sua priorità. E così, in quegli anni, osservava con angoscia l’escalation delle violenza contro i civili. Probabilmente stava perdendo la speranza che la politica potesse fare qualcosa, di certo che potesse impedire che uomini e donne venissero uccisi. Così, arrivò alla conclusione che le persone avrebbero smesso di morire quando “il fucile avrebbe smesso di sparare” (parole che ripeteva nelle conversazioni con amici).
Non si può sapere cosa avrebbero detto oggi le persone che non sono più fra di noi. Vale anche per i maestri di vita come lo è stato Edelman. Ma le loro parole si possono citare nel contesto storico in cui sono state scritte e pronunciate. E si possono richiamare nel contesto attuale, senza analogie né parallelismi, ma come uno stimolo per riflettere sull’oggi e pensare al futuro. E in concreto, in questo caso, sulle forme della violenza, oggi in Palestina e Israele (W. G.)
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A tutti i leader delle organizzazioni militari, paramilitari e guerrigliere palestinesi; a tutti i combattenti dei gruppi militanti palestinesi:

Mi chiamo Marek Edelman. Sono stato vice comandante dell’Organizzazione militare ebraica in Polonia e uno dei leader della Rivolta del Ghetto di Varsavia. Nel memorabile anno 1943 combattemmo per la sopravvivenza della comunità ebraica di Varsavia. Combattevamo per la semplice vita, non per un territorio né per un’identità nazionale. Combattevamo con una determinazione senza speranza, ma le nostre armi non furono mai rivolte contro la popolazione civile indifesa, non uccidemmo mai donne e bambini. In un mondo privo di principi e valori, nonostante il pericolo costante di morte, restammo fedeli a quei valori e a quei principi morali.
Eravamo isolati nella nostra lotta, e tuttavia il potente esercito avversario non riuscì a distruggere quei ragazzi e quelle ragazze appena armati. La nostra lotta a Varsavia durò diverse settimane e poi continuammo a combattere nei gruppi partigiani e nell’Insurrezione di Varsavia del 1944.

Eppure, in nessuna parte del mondo una forza guerrigliera urbana può ottenere una vittoria decisiva, ma non può neppure essere sconfitta da eserciti ben armati. E questa guerra non porterà ad alcuna soluzione. Il sangue verrà versato invano e vite saranno perse da entrambe le parti.

Noi non abbiamo mai trattato la vita con leggerezza. Non abbiamo mai mandato i nostri combattenti a morte certa. La vita è unica per l’eternità. Nessuno ha il diritto di toglierla senza riflettere. È giunto il momento che tutti lo comprendano.

Guardatevi intorno. Guardate all’Irlanda. Dopo cinquant’anni di guerra sanguinosa, è arrivata la pace. I vecchi nemici mortali si sono seduti allo stesso tavolo. Guardate alla Polonia, a Walesa e Kuron. Senza che venisse sparato un solo colpo, il criminale sistema comunista fu sconfitto. Sia voi che lo Stato di Israele dovete cambiare radicalmente atteggiamento. Dovete voler la pace per salvare la vita di centinaia o forse migliaia di persone, e per creare un futuro migliore per i vostri cari, per i vostri figli. So per esperienza personale che l’andamento degli eventi dipende da voi, i leader militari. L’influenza degli attori politici e civili è molto minore. Alcuni di voi hanno studiato nella mia città, alcuni di voi mi conoscono. Siete abbastanza saggi e intelligenti da capire che senza pace non c’è futuro per la Palestina, e che la pace può essere raggiunta solo a costo che entrambe le parti accettino alcune concessioni.

Chiedo anch ...[continua]

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