Desta impressione la notizia di incontri nei quali si discute sulle possibili strategie e gli eventuali costi per la ricostruzione di un paese devastato dalla guerra ancora in corso. Cadono bombe e missili, le abitazioni, le fabbriche e le infrastrutture vengono distrutte, centinaia di vite umane, civili e militari, vengono giornalmente uccise e ferite. È un fatto positivo, si afferma, che i governi e i pianificatori, i finanzieri, gli imprenditori, le industrie si preparino al dopo: ma quale dopo? E quanto distante? In quali circostanze politiche? Neodemos ne ha parlato più volte, riportando recentemente l’autorevole opinione di Ella Libanova, e continua a parlarne: una Ucraina vitale è essenziale per un’Europa più salda e capace di dialogare col mondo dell’est del continente. 

La mutilazione del Paese
Se il conflitto si arrestasse, e un’eventuale stabilizzazione -non spingiamoci a parlare di trattati di pace- venisse raggiunta, cedendo alla Russia i territori occupati, o sotto controllo, o annessi illegittimamente nel 2022 (il Donbas, con le oblast di Luhansk, Donetsk, Kherson e Zaporizhzhia), la Crimea (annessa nel 2014), con Sebastopoli, l’Ucraina perderebbe circa 130mila chilometri quadrati di territorio, più di un quinto della superficie del paese al momento dell’indipendenza del 1991 (604mila kmq). Un’ampia regione, ricca di risorse minerarie, con una vocazione industriale, anche se in crisi da prima della guerra.

Alla mutilazione territoriale corrisponde quella demografica, aggravata dall’onda dei rifugiati provocata dalla guerra, dal forte declino delle nascite e dall’aumento della mortalità. I dati, tuttavia, sono assai incerti: l’ultimo censimento dell’Ucraina risale all’inizio del secolo (2001); dopo il 2022, non sono state pubblicate statistiche dagli istituti preposti, per ragioni organizzative e, soprattutto, di sicurezza. Secondo le statistiche ufficiali, l’Ucraina, nel 1991, aveva 52,2 milioni di abitanti; la perdita di Crimea e Sebastopoli (circa 2,5 milioni) prima, e quella eventuale del Donbas (6,3 milioni) dopo; l’emigrazione e l’esodo dei rifugiati, prevalentemente in Europa (sette milioni); l’ininterrotto surplus dei decessi sulle nascite dall’indipendenza in poi, ne ha ridotto la popolazione a circa trenta milioni di oggi. Inoltre, secondo le proiezioni delle Nazioni Unite (variante media) la debole demografia implicherà un declino demografico pari al 16% tra oggi e il 2050. Alla metà del secolo il paese avrebbe venticinque milioni di abitanti, meno della metà rispetto all’anno dell’indipendenza. E con una popolazione fortemente invecchiata: nel 2050 l’età mediana sarebbe di 51 anni, vicina a quella dell’Italia (il paese più “vecchio” d’Europa).

Poche nascite, troppe morti
La debolezza demografica dell’Ucraina non è dissimile da quella propria dell’Europa orientale, ma è assai più accentuata. Pensando a un dopoguerra, che ancora appare incerto e non prossimo, una ripresa economica duratura non potrà contare su una base demografica consistente. Le nascite, che al momento dell’indipendenza erano vicine a 700.000, sarebbe crollate (secondo stime non confermate) a poco più di 200.000 nel 2024. L’andamento del numero medio di figli per donna dall’indipendenza in poi si situa ben al di sotto della media Europea e a quella della parte orientale del continente, e sarebbe oggi attorno a 1, valore bassissimo ma non sorprendente per un paese in guerra. 
La speranza di vita, come nell’insieme dell’Europa orientale, è sensibilmente inferiore a quella del resto d’Europa, ed è depressa dalle perdite belliche. Un sito specialistico, analizzando liste nominative di decessi, consente una visione delle perdite accertate: circa 75.000 nei tre anni e mezzo di guerra, per due terzi persone tra 30 e 50 anni. In tale cifra non sono compresi i civili, i dispersi e i decessi non identificati, e la cifra sicuramente sottostima le perdite totali.

Sette milioni fuori dall’Ucraina: quanti rientreranno? 
Secondo l’agenzia Onu per i rifugiati (Acnur/Unhcr), gli Ucraini in tale condizione sono nel mondo 5,1 milioni (2025). Inoltre più di un milione di cittadini sarebbero emigrati o fuggiti in Russia (ma la cifra è solo indicativa e il loro status ignoto), e un altro milione si trovano all’estero, per lo più emigrati al giro del secolo. 
Dati precisi esistono relativamente ai profughi nella Ue, inseriti nel programma di Protezione Temporanea, creato nel 2022 e di recente prorogato al 2026. Si tratta di un programma generoso, che ha creato non poche controversie per il trattamento di favore concesso agli ucraini rispetto ad altri migranti, spesso in condizioni molto più difficili. Il programma prevede sostegno economico, la concessione di permessi di lavoro, assistenza sanitaria, e altri benefici sociali. C’è stata la dislocazione dei 4,3 milioni di beneficiari del programma, più della metà dei quali si trova in Germania (1,2 milioni), e in Polonia (un milione), in gran maggioranza donne, molte con figli minori. 
Una delle incognite che pesano sul futuro del paese riguarda l’eventuale rientro in patria dei rifugiati. Le indagini campionarie del Center for Economic Strategy trovarono che a fine 2022 i rifugiati che dichiaravano di non volere rientrare nel paese erano il 10%, percentuale cresciuta al 34% nel 2024 e che ha oggi superato il 50%. Più lunga la durata dell’esilio, minore la frequenza del rientro: conseguenza della progressiva integrazione nel paese ospitante. Si trova lavoro, vengono concesse facilitazioni per la residenza, i figli frequentano le scuole e sono bilingui, le condizioni di vita sono migliori rispetto a quelle del paese di provenienza.
Le autorità ucraine sono ben coscienti che l’Ucraina di domani avrà necessità di un sufficiente “capitale umano”. Ma sarà difficile invogliare al rientro chi si è ben integrato all’estero, o attrarre immigrazione di qualità in un paese impoverito. Sembra paradossale (ma non lo è) la recente decisioni del governo di permettere l’uscita dal paese dei giovani di 18-22 anni, superando il divieto che si estendeva a tutta la popolazione maschile soggetta alla ferma (oltre i 18 anni) anche se non soggetti alla mobilitazione (non lo sono i minori di 25 anni). Forse si può leggere questa mossa come diretta a “conservare” il capitale umano e a impedire la frequente scelta delle famiglie di mandare all’estero i figli non ancora diciottenni onde evitare ogni rischio futuro di richiamo alle armi. E questo nonostante che la debolezza demografica, sia degli ucraini, sia dei russi, si rifletta in accresciute difficoltà per il  reclutamento militare.

Note
1. "Una voce dall’Ucraina: come superare i traumi della guerra", Neodemos, 26 settembre 2025
2. Iryna Sysak, Tetiana Koliesnichenko, Ivan Gutterman, "How Many Ukrainians Will Remain In Their Country After The War?" https://www.rferl.org/a/ukraine-population-war-migration-refugees/33347583.html