Massimo Livi Bacci, demografo, insegna presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Firenze, Dipartimento di Statistica. E’ tra gli animatori del sito www.neodemos.it.

L’Economist ha dedicato la copertina dell’8 marzo al cosiddetto "gendercide”, genocidio di genere o femminicidio, a causa del quale in Cina, ma non solo, mancano all’appello decine di milioni di bambine...
Il tema dello sbilancio tra bambini e bambine non è nuovo. Nella Cina anteriore alla Rivoluzione il rapporto dei sessi alla nascita era fortemente sbilanciato a favore dei maschi. All’epoca non c’era l’aborto selettivo perché mancava la strumentazione, ma c’era l’infanticidio selettivo, oppure la cosiddetta "trascuratezza selettiva”, child neglect, per cui si prestava meno attenzione alle bambine rispetto ai bambini, un comportamento che, soprattutto in situazioni di disagio e ristrettezza economica, si traduceva in una maggior mortalità delle bambine rispetto ai bambini.
C’è pertanto una tradizione cinese molto antica di sbilancio nel rapporto tra i sessi, che tuttavia con la Rivoluzione e con il nuovo Stato cinese sembrava essere in diminuzione. I pochi dati disponibili dopo il 1950 mostravano un’attenuazione di questo sbilancio, segnalando una maggiore valorizzazione del genere femminile, una maggior cura per le bambine che aveva fatto sperare che questo antico retaggio di preferenza per i maschi fosse in via di scomparsa. Il Censimento dell’82 mostrava un rapporto bambini-bambine sotto i cinque anni, pari a 107, di poco superiore a quello fisiologico.
Nel trentennio 1950-1980 c’è stata una parentesi in una lunga storia di preferenza per il genere maschile.
Alla fine degli anni ‘70 intervengono alcuni fattori che invertono il trend, facendo riemergere l’antica preferenza per il figlio maschio.
Il primo fattore è strumentale, un portato della rivoluzione tecnologica, che fa sì che si possa predeterminare il sesso del nascituro grazie all’ecografia e ad altri esami. Il secondo fattore è quello di una riforma economica molto radicale che ha portato sì a una fortissima crescita, ma anche a una fortissima rivoluzione sociale. Nel senso che il tradizionale sostegno che veniva dato dal figlio maschio viene messo a repentaglio. Questa tradizione non è mai tramontata: sul figlio maschio si fondavano non solo la continuità della famiglia, ma anche il supporto agli anziani. Con lo sviluppo, questo appoggio diventa più precario, anche perché decine di milioni di giovani emigrano verso le città lasciando le coppie di genitori anziani nelle aree rurali.
Il terzo fattore è la politica del figlio unico: di fronte alla necessità di avere un figlio solo o al massimo due (in gran parte delle aree provinciali c’è questa possibilità) c’è una preferenza per il figlio maschio e quindi un aborto selettivo dei feti femmina. Sono tre fattori che hanno agito in parallelo, non solo in Cina, ma anche in altre zone, come mostra il rapporto dell’Economist, e come si sapeva da tempo. La Corea, Taiwan, alcune regioni dell’India, ecc.
Sono dati che conosciamo già da qualche anno. Fin dall’inizio del 2000 più di un demografo ha denunciato come milioni di bambine mancassero all’appello.
Vale infatti, sotto ogni latitudine, una costante biodemografica: ogni 100 bambine che vengono al mondo, nascono 105-106 maschi. Rapporti sensibilmente più alti fanno suonare un campanello d’allarme. Può ovviamente trattarsi di statistiche incomplete (bambine non registrate alla nascita), ma in questo caso l’ipotesi è che ci fosse un crescente ricorso all’aborto selettivo e, nel peggiore dei casi, all’abbandono o all’infanticidio delle bambine.
Un dato che può risultare interessante è che nei paesi della diaspora cinese questo sbilancio non c’è. Nelle comunità cinesi che vivono in Toscana, ad esempio, è stato evidenziato come il rapporto tra i sessi alla nascita sia uguale a quello della popolazione italiana. Si registra pertanto una valorizzazione del genere femminile che probabilmente è dovuta al diverso contesto sociale e culturale, ma anche al fatto che il contributo della donna risulta ugualmente appetibile sul piano economico.
In Corea del Sud il trend si è invertito. La modernizzazione da un lato ha agevolato il controllo precoce, dall’altro ha contribuito a cambiare la cultura, i valori.
La Corea è un caso interessante. Questa preferenza per il maschio si trova in tutto il Sudest asiatico, quindi non solo nella Cina comunista, ma ...[continua]

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