ho sempre amato questo periodo dell’anno. Non solo per la luce, così intensa e ricca, per le ombre che si stagliano nette, per i campi punteggiati dalle balle di fieno, o per la quiete che accompagna la nebbia che si posa sopra fiumi e canali. È un tempo pacifico, in cui la nostra inclinazione naturale -se solo vi cedessimo- sarebbe quella di ibernarci, dimezzare gli sforzi e rifugiarci in un po’ di hygge.
Lo hygge, la cultura scandinava del comfort e del calore domestico, è arrivato anche in Italia? Ne avremmo bisogno, ma in realtà non possiamo permettercelo, non quest’anno, a causa del raccolto agricolo.
Di solito il raccolto fa parte della tradizione, quasi invariabile nella sua generosità. Scuole e chiese raccolgono frutta e verdura per celebrare il passaggio delle stagioni e i loro doni. Questi alimenti vengono poi donati a chi ha le tasche vuote. Gli scout portano ceste piene agli anziani in difficoltà. Ricordo un anno, da madre single, di aver ricevuto anch’io una scatola piena di doni, anche se non mi sembrava di meritarla. Ero così grata per quella generosità.
Siamo vissuti nell’abbondanza -per chi poteva permettersela. Ma questa non è più garantita: l’abbondanza non è più tra noi. Noi non abbiamo conosciuto le “pietre della fame”, quelle iscrizioni sui fiumi dell’Europa centrale che segnalavano la rovina e la carestia imminente quando l’acqua scendeva sotto un certo livello. Siamo vissuti in un’epoca di prosperità costante. Ma quest’anno è diverso: un altro anno di mutamenti climatici e di avvertimenti urgenti per chi decide le politiche alimentari.
Quest’anno, paradossalmente, la natura è generosa: nei boschi e nei frutteti ci sono mele in abbondanza, pere, prugne, e nocciole sparse ovunque. È un “mast year”, un anno in cui gli alberi producono una quantità eccezionale di frutti e semi. Camminiamo su ghiande e noci di faggio, che almeno nutriranno gli uccelli e faranno ingrassare gli scoiattoli.
Secondo Gardening Today, “è un anno eccezionale”, non solo per i frutti commestibili, ma per tutti i frutti. Le alte temperature primaverili hanno favorito un’impollinazione massiccia, regalando una straordinaria produttività. Ma se questo ha giovato agli alberi, non ha certo aiutato gli agricoltori. Anzi, li ha danneggiati: dopo quel periodo caldo e secco, la pioggia non è più arrivata.
L’Inghilterra ha registrato il suo secondo peggior raccolto di sempre: le stime provvisorie del Dipartimento per l’alimentazione, la pesca e l’agricoltura rivelano rese molto inferiori alle aspettative, dopo una delle primavere più calde e una delle estati più secche da oltre un secolo. L’anno scorso era andata un po’ meglio, ma comunque male. Il 2024 si colloca ora al terzo posto, il che significa che tre dei cinque peggiori raccolti dell’ultimo secolo si sono verificati tutti nell’ultimo decennio
-conseguenza diretta della crisi climatica.
La vecchia immagine del raccolto e la sua celebrazione appartengono ormai al passato.
Secondo Tom Lancaster, analista di territorio, alimentazione e agricoltura presso l’Energy and Climate Intelligence Unit (Eciu), i raccolti scarsi dovuti alla crisi climatica segnalano non solo un disastro economico per gli agricoltori, ma anche rischi per la sicurezza alimentare nazionale.
Non abbiamo le “pietre della fame”, ma forse dovremmo.
In una limpida giornata di ottobre, mi aggiro per un Festival della biodiversità e della rigenerazione alimentare in un parco cittadino. Le bancarelle vendono cibo biologico, principalmente vegano e vegetariano. Gli storici agricoltori biologici di Riverford Organics sono presenti, e offrono assaggi gratuiti di mele biologiche. Ci sono code davanti ai banchi che servono cibo rustico, molti liquori artigianali e vini biologici costosi. Anche i gruppi ambientalisti partecipano alla festa, ma io, con la mia banconota da cinque sterline, non posso comprare nulla; non è un festival gastronomico pensato per chi non ha denaro né tempo.
Lo dico pur riconoscendo che esistono gruppi di coltivazione comunitaria, come il Grapes Hill Community Garden, ma nel complesso si tratta di una cultura che emana un’aria di benessere: è una comunità, sì, ma non la stessa delle reti di banchi alimentari, che in modo preoccupante e tragico stanno diventando sempre più permanenti e servono i poveri.
Il cibo sta diventando sempre più costoso. Il cibo biologico -il cibo “vero”, salutare- lo è sempre stato; ora anche il cibo più economico raggiungerà n ...[continua]
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