Questo anno ebraico (5761) è appena finito. Un anno di speranze tramutatesi in paura, delusioni, dolore e rabbia. L’anno era iniziato in Medio Oriente con la violenta esplosione dell’Intifada Al Aqsa nella prima settimana e si è concluso con l’attacco terroristico a New York nell’ultima settimana. Il mio modo di pormi di fronte a questi eventi dolorosi è quello di cercare di trovarne un senso. Queste tragedie sono accadute in un mondo che dopo la guerra fredda avrebbe potuto tendere verso altri obiettivi: la valorizzazione delle differenze culturali, l’istruzione, la salute, l’ambiente. Mi sono messo a riguardare le cose scritte in questi anni, ogni volta mosso dal bisogno di uscire da una sensazione di frustrazione e impotenza. Auguro a tutti noi che l’anno ebraico 5762 sia un anno migliore, anche se temo che gli accordi internazionali nati dopo l’11 settembre possano condurci a una versione globale della violenza in Medio Oriente.
Con un cuore sanguinante -ovvero- Chi è il pazzo qui? Ottobre 2000
Lo ammetto: non mi hanno sparato, né mio figlio è stato rapito o ferito in guerra. Non mi sono state lanciate pietre, sebbene mi sia più volte recato a Talitha Kumi, vicino a Beit Jala. Con il professor Sami Adwan dell’Università di Betlemme abbiamo cercato di portare avanti il Prime (Peace Research Institute in the Middle East) con alcuni ricercatori israeliani e palestinesi. Non sono stato ferito nel corpo, ma il mio cuore sanguina, perché non abbiamo potuto fare niente per fermare la violenza degli ultimi giorni. Ascolto le grida “Morte agli arabi” e “Assassiniamo gli ebrei” che vengono trasmesse dai nostri media a tutte le ore. Sento la gente parlare dal barbiere o al supermercato: “Bisogna colpirli forte, capiscono solo la forza”. Immagino che da un barbiere di Gaza o in un supermercato a Betlemme i palestinesi parlino di noi con lo stesso spirito.
Ci sono situazioni in cui uno deve chiedersi: forse sono tutti pazzi e sono io l’unico sano?
C’è un racconto simile sull’Olocausto: in un villaggio ucraino tutti gli ebrei vennero fatti uscire da un gruppo di nazisti, che iniziò a sparar loro addosso. La gente del villaggio guardava in silenzio. Solo una donna cercò di fermare il massacro: “Siete pazzi, cosa state facendo?”. Si seppe poi che era la matta del villaggio.
So della denuncia per cui Sharon avrebbe istigato alla violenza andando alla moschea circondato da guardie e poliziotti, ma non sono così pazzo da pensare che quella sia stata l’unica azione che ha appiccato il fuoco. Qui c’era già un immenso potenziale per accendere un fuoco. C’era solo bisogno di una scintilla e Sharon l’ha fornita.
Ma è proprio l’immenso potenziale il problema: la paura, la sfiducia, l’odio e l’incapacità di rinunciare al sogno del “questo è tutto nostro”. Queste purtroppo sono ancora le emozioni dominanti tra tanti israeliani e palestinesi.
Dove sta la pazzia? La pazzia sta nel fatto che, col passare del tempo e dopo un numero imprecisato di ulteriori vittime civili, ci ritroveremo esattamente al punto in cui ci troviamo ora, solo più disillusi, stanchi e addolorati. Il cuore sanguina perché tutti quelli che sono stati uccisi lo saranno stati invano. Nessuno potrà riportare nel cuore di un padre che ha perso il figlio, la speranza per la pace…
Ci sono persone che non sono pazze, semmai solo un po’ naif, e che hanno bisogno di sperare, di lavorare per un futuro diverso e migliore per tutti. Queste persone hanno investito la parte migliore del loro tempo e delle loro energie nell’affrontare e nel lavorare sulle questioni esplosive che ancora esistono nel cuore e nella mente di così tanti.
Io ho preso parte a queste attività, consapevole dei miei diritti di ebreo israeliano e contemporaneamente dell’esistenza di un altro diritto -il loro. Ho imparato a capire quanto sia importante il riconoscimento dell’immenso male che è stato inflitto loro dalla mia gente (ma non solo). E loro hanno imparato a conoscere la mia sensibilità e il mio dolore. Noi sappiamo che anche quando verrà firmato un accordo di pace ci sarà ancora un grande lavoro da fare, lentamente, ma con molta energia e investimento emotivo, per riempire il trattato di contenuti e per creare un ampio consenso sociale alla sua realizzazione e mantenimen ...[continua]
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