L’iniziativa del governo canadese è stata subito appoggiata dal preside della facoltà di medicina dell’Università di Ottawa, che ha suggerito l’istituzione di un centro dove coltivare e lavorare la marijuana a scopi terapeutici. In Canada c’erano stati dei precedenti significativi: Terry Parker di Toronto aveva vinto nel dicembre ’97 una battaglia legale durata vent’anni per usare la marijuana nella cura dell’epilessia; Mark Crossley, un malato di tumore al cervello, era stato condannato a 4 mesi per aver coltivato canapa nel suo giardino, al solo scopo di alleviare mal di testa e inappetenza; infine, si era stimato che ventimila persone erano pronte a fumare marijuana per curarsi: ventimila utenti potenziali e il loro indotto rappresentano un “interessante pacchetto” di elettori.
L’iniziativa canadese appare in sintonia con quanto già approvato in Arizona, California, Oregon, Alaska, Washington, e con quanto si deciderà, probabilmente a breve, nel Maine. Sebbene siano stati gli Usa a demonizzare la marijuana, mettendola al bando nel 1937 (Marijuana Tax Act)1, è proprio in Nord America che si fa strada il riconoscimento della valenza terapeutica della marijuana già nel 1975; nello stato dell’Alaska, era stata legalizzata per combattere l’alcolismo2, per poi ricriminalizzarla nel 1990, a causa dell’eccessivo consumo registrato tra i teenager, e quindi autorizzandone l’uso terapeutico.
L’annuncio della decisione del governo canadese è stato dato dal ministro della Sanità, Allan Rock, il 3 marzo. Nello stesso giorno, a Roma, al Senato, veniva stralciato, dal disegno di legge per la depenalizzazione dei reati minori, l’articolo 14 relativo alla detenzione di droghe per consumo di gruppo e alla coltivazione per uso privato. La politica italiana in materia di droga è sempre più deludente; prevale un consolidato opportunismo che non deriva soltanto dalla logica delle opportunità, ma anche dalla mancanza di conoscenza effettiva del fenomeno e dal perpetuarsi di una contrapposizione tutta ideologica e di schieramento.
La scelta canadese rappresenta sicuramente un passo avanti, un colpo inferto all’ideologia proibizionista per cui la droga è la materializzazione del demonio. Secondo questa ideologia, la marijuana è droga e basta, e non una sostanza psicotropa, capace cioè di provocare determinati mutamenti degli stati di coscienza di chi ne assume. La scelta canadese riporta la marijuana nel contesto della farmacopea, una sostanza che può essere utilizzata con profitto in determinate patologie. E’ dunque un farmaco che, come tutti i farmaci, può arrecare benefici, ma anche provocare danni all’organismo, quando se ne abusa.
Lo stato di salute di un individuo è sempre una condizione relativa; l’assunzione di un farmaco può migliorarlo o peggiorarlo; in certi casi l’uso di una sostanza, fosse anche un "veleno", è meno nociva della persistenza di un’altra presenza dannosa. Quando si deve essere sottoposti a un’operazione chirurgica, è spesso necessaria l’anestesia generale; vengono allo scopo iniettate delle sostanze che sono altamente tossiche, ma la scienza medica non sembra offrire alternative. Quanti patiscono di emicrania in forme acute e continue, ricorrono necessariamente a farmaci dagli effetti secondari "pazzeschi" che sono preferibili all’insopportabilità del dolore e ai traumi che ne derivano: sono cioè meno dannosi.
La marijuana fa male
La marijuana, come l’hascisch, contiene dei composti chimici, non tutti perfettamente noti, che aumentano nel corso della combustione. Tra questi composti i cannabinoidi, il cui principio attivo più importante per il suoi effetti psicotropi è il Thc (delta-9-tetra-idro-cannabinolo). Il Thc è solubile nel grasso ma non nell’acqua. Il corpo umano ha un sistema di eliminazione basato sull’acqua: sangue, urine, sudore e feci. Il Thc, non dissolvendosi nell’acqua, si intrappola nel cervello, nei polmoni, nel fegato e negli organi della riproduzione, ove rimane per parecchie settimane. Se il cons ...[continua]
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