Per gentile concessione della rivista Missione Oggi, pubblichiamo brani dell’intervento che Monsignor Henri Teissier, arcivescovo di Algeri, ha tenuto al convegno "Di fronte al nuovo disordine internazionale, quale convivenza dei popoli?", svoltosi a Brescia il 17 e 18 maggio scorsi.

Una chiesa senza cristiani
La prima caratteristica della nostra Chiesa d’Algeria può essere espressa in questi termini: siamo una chiesa senza fedeli. Ma siamo una chiesa: abbiamo 4 vescovi per le 4 grandi regioni dell’Algeria (al momento solo 3 dopo l’assassinio di Mons. Claverie, vescovo di Orano), 110 tra sacerdoti e religiosi, 200 suore e qualche centinaio di laici missionari. Siamo però una chiesa senza cristiani poiché la totalità del popolo algerino è musulmana. Siamo la chiesa di un popolo musulmano perché siamo in mezzo ad esso: ci troviamo con lui nei capoluoghi delle regioni, nelle cittadine della costa, sui monti, sugli altipiani o nelle oasi. Le poche religiose, le laiche, i sacerdoti sono immersi in una popolazione interamente musulmana. Desiderano essere in relazione con la popolazione, solidali con essa, al suo servizio, nel dialogo della vita quotidiana e nella preghiera.

I luoghi di solidarietà con la popolazione musulmana
Non possiamo addentrarci nella scoperta della nostra chiesa senza chiarire una situazione del tutto singolare. E’ abitudine in una chiesa mettere in relazione il numero dei sacerdoti, dei religiosi e delle suore con quello dei laici. La nostra situazione è totalmente diversa. Siamo in tutto fra sacerdoti, suore e laici qualche centinaio. Con i tecnici dei vari cantieri, siamo qualche migliaio di cristiani, di varie nazionalità: francesi, polacchi, spagnoli, filippini... (gli italiani sono circa 600). Tutti questi trovano la ragione della loro presenza umana e spirituale nel condividere la vita e nel collaborare con una popolazione che è invece interamente musulmana. Ciascuno, ovviamente, vive questa relazione secondo la sua situazione specifica. I tecnici, nel lavoro con i colleghi algerini musulmani; gli insegnanti cristiani (sono soprattutto sacerdoti, perché è richiesta la conoscenza dell’arabo) nel rapporto con l’ambiente scolastico musulmano; il personale sanitario cristiano (in questo campo ci sono soprattutto suore) nel loro lavoro accanto agli ammalati musulmani e con il personale d’ospedale musulmano; gli educatori specializzati per i giovani handicappati nella loro collaborazione con gli educatori musulmani e i genitori dei ragazzi, anche loro musulmani. Ognuno di noi cristiani vive questa relazione con l’islam e con i musulmani attraverso la sua situazione personale, oppure secondo il carisma della sua congregazione. I gesuiti dispongono di biblioteche a servizio di studenti musulmani. Le piccole sorelle dei poveri hanno case per anziani che vivono grazie al sostegno finanziario di famiglie musulmane. Le piccole sorelle di Gesù hanno vicini musulmani con i quali instaurano relazioni quotidiane. La Caritas collabora con associazioni musulmane. Le suore che tengono scuole di cucito o di ricamo lo fanno per ragazze musulmane o per un comune musulmano o per un’associazione di genitori musulmani. Il club dei giovani della nostra Casa diocesana è composto di giovani musulmani con educatori musulmani. La corale che è venuta ad offrirci un po’ di gioia nei giorni dopo Pasqua è costituita di cantori musulmani. Quelli che vengono ad ascoltare le conferenze che noi organizziamo, fatta eccezione per sacerdoti e suore, sono quasi tutti musulmani. I nostri fratelli monaci di Tibhirine vivevano anche loro fra musulmani e pregavano per i loro vicini musulmani. Anche le persone che vengono a trovarci nel nostro vescovado (ad Algeri come ad Orano o a Constantine) sono in prevalenza musulmani e quelli che invito a casa mia per un pasto di amicizia, al di fuori di sacerdoti e suore, sono tutti musulmani. Quanto ai pochi cristiani algerini è ancora più semplice: sono solidali con tutti i loro familiari musulmani.

Cristiani e Musulmani, compiti da assumere insieme
Sicuramente, i musulmani che incontriamo non vengono abitualmente a trovarci per stabilire un dialogo islamo-cristiano. Vengono a parlarci perché noi desideriamo essere uomini e donne di solidarietà. Se i genitori di un bambino handicappato vengono a consultarci è per trovare una soluzione educativa a favore del proprio figlio. Sanno che noi ci sentiremo interessati al loro problema e che insieme a loro cercheremo la sol ...[continua]

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